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28/04/2021

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Perchè il welfare aziendale ha giocato un ruolo fondamentale nella pandemia e si evolverà

Paolo Barbieri (Welfare4You): non solo come asset capace di dare continuità all'engagement delle persone, ma come prassi sulla quale ulteriormente investire per generare ambienti di lavoro a misura dell'umano

Come hanno risposto le imprese alle necessità dei lavoratori emerse durante la pandemia? Che ruolo ha svolto la Direzione HR per preservare il benessere organizzativo messo in crisi dal "lavoro da remoto forzato"? Come sono stati ricontestualizzati i Piani di Welfare Aziendale (WA)? E che fine hanno fatto i Premi di Risultato ("PdR") nelle molte aziende che nel 2020 non hanno potuto centrare i target?
Sono alcune delle domande che Welfare4You - Provider milanese specializzato nella gestione dei servizi di supporto al WA - ha rivolto ad un campione di circa 100 imprese presenti in Italia, rappresentative di oltre 88.000 dipendenti impiegati e di oltre 18 milioni di euro in termini di valore complessivo dei Piani di WA esaminati.
La survey si è svolta a marzo 2021, ad un anno esatto dall'inizio del periodo emergenziale, con l'intento di identificare le modificazioni intervenute durante la pandemia nelle politiche di WA delle imprese e al fine di cogliere i trend che le caratterizzeranno nella successiva fase post-COVID-19, con particolare attenzione alla sorte dei PdR agganciati ai target fissati per il 2020 e quindi in epoca antecedente alla diffusione del coronavirus.


Welfare4You ha curato la raccolta e l'analisi dei dati e si è avvalsa del contributo interpretativo di due noti esperti di Welfare Aziendale: Luca Pesenti (Professore associato nella Facoltà di Scienze Politiche e Sociali dell'Università Cattolica di Milano) e Giovanni Scansani (co-founder dell'advisor Valore Welfare e Docente a contratto presso il medesimo Ateneo).



La riorganizzazione dei piani di welfare aziendale


Il tempo trascorso tra marzo 2020 (avvio della fase emergenziale) e il momento della rilevazione (marzo 2021) ha consentito alle imprese di assestare le iniziative tarandole sulle reali necessità insorte.
Oltre ad una diffusa introduzione di polizze assicurative specifiche per la copertura delle spese sostenute a causa dell'eventuale contagio da COVID-19, le aziende hanno potuto contare sulla capacità dei Provider e dei loro partner nella trasformazione di una serie di servizi che ne ha consentito la fruizione online anche da casa. Hanno avuto larga diffusione servizi di counseling (medico e psicologico), servizi ludico-educativi (con target i figli in età scolare) e persino servizi ricreativi e sportivi realizzati tramite tutor e istruttori che hanno potuto svolgere lezioni via web (la cosiddetta "palestra online").


Le nuove fonti di stress lavoro-correlato indotte dal "lavoro da remoto forzato" ("always on", "time porosity", rischio di burnout) hanno indotto un buon numero di aziende ad attivare specifici programmi di digital detox con l'intento di preservare nella misura massima possibile il giusto equilibrio tra lavoro e vita privata, spesso letteralmente "saltato", soprattutto nella Fase 1 (lockdown).
Infine, mentre sino a prima della pandemia, il tema della cura degli anziani e dei soggetti non autosufficienti non aveva avuto la ricorrenza che merita, l'emergenza sembra avere attivato l'attenzione delle aziende su questo tema essenziale attraverso il supporto e l'assistenza ai caregiver informali (ossia i familiari che spesso sono poi le stesse lavoratrici i cui "carichi di cura", con il lavoro "da remoto", si sono ulteriormente appesantiti).

La "resilienza" del welfare aziendale


Nel 71% dei casi esaminati la lungimiranza delle imprese ha impedito che il WA potesse diventare una delle aree di saving per contenere i costi nel quadro delle azioni di riduzione degli impatti negativi che la pandemia ha causato nei conti economici delle imprese.


Di più: un'impresa su cinque ha semmai incrementato il plafond messo a disposizione dei lavoratori (mediamente 350 euro) intravedendo nel WA un alleato sia per la tenuta dell'engagement dei lavoratori, sia per sostenere la ripartenza aziendale.
Peraltro un'impresa su cinque nel 2020 ha osservato, rispetto al 2019, una più ridotta fruizione dei servizi, segno evidente di almeno due possibili cause: la mancata ricontestualizzazione dei Piani di WA rispetto alle criticità indotte dalla pandemia o la loro originaria carente capacità di risposta rispetto ai bisogni dei beneficiari.
 



"No target? No welfare!". Non sempre


Tra le aziende rispondenti, il 50% nel 2021 non riconoscerà il PdR (Premio di Risultato) per il mancato conseguimento dei target previsti per l'anno 2020. Ciò era prevedibile e spiega lo sforzo del 44% delle imprese e delle organizzazioni sindacali che dall'insorgere della pandemia e in tempi brevi hanno saputo ridefinire gli obiettivi dei PdR individuando altre aree di miglioramento capaci di sostenere la premialità associata a questa modalità di erogazione della parte variabile del salario.


Più contenuta la quota delle imprese che hanno adottato soluzioni alternative al PdR comunque capaci di riconoscere l'impegno delle persone associandolo a meccanismi di cosiddetto "Welfare Aziendale premiale".
 



Un plauso a Manager e Direzioni HR


Il WA, quando rappresenta un investimento, inteso come "leva" capace di ampliare lo scambio con i lavoratori arricchendolo sul piano "sociale" e non solo economico, ha dimostrato notevoli doti di "resilienza" e un'apprezzabile capacita? di adattamento alle mutate condizioni nelle quali i beneficiari si sono trovati durante la "Fase 1" e la tuttora perdurante "Fase 2" della pandemia.
Ben guidato dagli HR manager più avveduti il WA è stato ricontestualizzato ed esce rafforzato da questa drammatica prova collettiva. Soffre invece il WA "di produttività", quello associato ai PdR, soprattutto se la loro convertibilità in welfare è l'unica fonte di accesso a beni e servizi che possono dare supporto alle necessità individuali e familiari. Nell'impossibilità di erogare i PdR agganciati ai target del 2020 (che in moltissimi casi non sono stati conseguiti) molte imprese avranno compreso che il WA, per essere realmente tale, deve poter esprimere, con continuità, un set di tutele che l'incentivo, come tale, non può offrire perché aleatorio nella sua effettiva spettanza e tendenzialmente privo di costanza nel tempo quanto alla sua erogazione.



"Più che l'ampliamento indiscriminato dei servizi di WA" - rileva Paolo Barbieri, CEO di Welfare4You - "ciò che ha fatto la differenza è stato essersi messi al (ri)ascolto delle necessità dei lavoratori per calibrare bene le risposte: un'attività resa più fluida in quei casi nei quali l'azienda ha potuto mettere a disposizione piattaforme di WA evolute e progettate proprio per adattarsi alle singole specifiche esigenze, tanto organizzative quando individuali".
La ricerca ha fatto emergere anche il ruolo delle Direzioni HR e dei loro manager "ai quali va rivolto un plauso" - tiene a precisare Barbieri - "perchè nelle aziende questa crisi l'hanno affrontata soprattutto loro, in prima persona e restando costantemente in prima linea. Sono loro che hanno dovuto far fronte, con poco o nullo preavviso, alle difficoltà umane ed organizzative che man mano si manifestavano e che andavano coordinate con la prosecuzione, in sicurezza, delle attività lavorative".
Nel racconto di molti loro il WA ha in effetti giocato un ruolo importante: non solo come asset capace di dare continuità all'engagement delle persone, rafforzando il legame con l'azienda in una fase in cui per molti la fisicità del lavoro si è trasformata unicamente in una connessione digitale, ma come prassi sulla quale ulteriormente investire per generare ambienti di lavoro a misura dell'umano.



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