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31/03/2021

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Mario Mantovani (Manageritalia): per la ripartenza del Paese servono organizzazione e manager

Possiamo confrontarci a tutti i livelli, istituire un dialogo a livello centrale ma anche creare collaborazioni su base territoriale in tutti i settori che saranno investiti

I manager, privati e pubblici, hanno svolto da quando è iniziata la pandemia un ruolo fondamentale per sostenere l'economia dell'intero Paese, grazie alla loro reattività, preparazione e anche creatività. Ora offrono la loro esperienza anche per una delle sfide più importanti per il nostro futuro: la gestione del Recovery Fund e del Next Generation EU.
Abbiamo incontrato Mario Mantovani, Presidente di Manageritalia e di CIDA (Confederazione italiana dei dirigenti e delle alte professionalità).


Partiamo dal ruolo dei manager in questo periodo.

Io credo che il ruolo sia centrale in tutti i settori, perché sono stati coloro che "sono stati costretti" a sostenere "la baracca" nel pubblico, in particolare nella scuola o la sanità, ma anche per chi nel privato ha dovuto riorganizzare le aziende.
C'è stata una risposta, un anno fa, molto rapida e ma anche molto superiore alle aspettative in molti settori. Forse non è stato notato abbastanza, però è chiaro che sono state le scelte manageriali che hanno consentito di rispondere in qualche modo, anche semplicemente di difendersi, rispetto al blocco che poteva diventare totale di tutte le attività.



E poi cosa è successo?

Si è generata l'aspettativa per ripartire. Qui si sono un po' polarizzate anche le idee. Da un lato chi ha cominciato a organizzarsi per ripartire, per riaprire le aziende piccole e grandi nei diversi settori. Queste imprese hanno iniziato a investire in digitalizzazione in maniera permanente cambiando un modello organizzativo in maniera stabile. Sono aziende che hanno cercato anche di modificare lato offerta, penso ai settori turistici e la ristorazione che hanno fatto anche investimenti questa direzione.
Questi in qualche modo saranno premiati in questo percorso più di lungo periodo perché quando finirà questa fase saranno più strutturate, saranno più forti, avranno processi più digitalizzati e nel frattempo hanno anche beneficiato probabilmente della riduzione di costi, e qui penso alla cassa integrazione.
In altri settori invece questo continuo susseguirsi di provvedimenti di apertura e chiusura ha di fatto impedito una riorganizzazione delle aziende. Questi settori si ritrovano oggi indeboliti, con le idee poco chiare su come ripartire e quindi avranno certamente maggiori difficoltà.


La fase che si è sviluppata dopo l'estate e che tuttora prosegue, purtroppo, è stata molto penalizzante per interi comparti. Devo dire anche la verità, una situazione poco collegata ad un'analisi rigorosa dei dati del contagio.
Stanno uscendo ora degli studi, per esempio sulle scuole, che mostrano come non siano queste i focolai di contagio come qualcuno ha immaginato.
Ma d'altra parte è comprensibile - se non ci si basa su dati scientificamente rilevati - che si proceda con il buon senso, ma questo non è poi così buono perché si affrontano le situazioni in modo superficiale. Questo comportamento ha comportato dei costi molto pesanti per la nostra economia, sia privata che è quella si è sobbarcata la maggior parte dell'onere, ma anche con l'impatto sulle finanze pubbliche, certamente pesantissimo. In tutto questo i manager devono, in questo momento, portare avanti e tenere in piedi le strutture, in attesa di farle ripartire.

Abbiamo qualche opportunità con Next Generation EU e Recovery Fund, quale potrebbe il ruolo dei manager? Sono coinvolti?

Al tavolo del governo i manager non si siedono, questo è un altro fatto su cui bisognerebbe ragionare.

Il Recovery Fund potrebbe rappresentare la ripartenza.
Ma si tratta anche di capire, al di là del dialogo con i diversi governi - che comunque avviene, anche se in maniera intermittente - che ci sono aspetti per cui sarebbe auspicabile avere un confronto continuativo e strutturato.
Io capisco che si interroghino le grandi confederazioni, quelle che rappresentano i grandi numeri di lavoratori, ma poi questi lavoratori quando sono sul posto di lavoro vanno organizzati, vanno guidati e sono dei manager che lo fanno. Oltre a considerare i numeri e pensare di risolvere le cose con i macro accordi, bisogna capire quali misure servono sul campo e come ingaggiare i manager per essere più efficaci e in linea con i provvedimenti governativi.
C'è anche un altro aspetto: la stessa gestione del piano richiederà migliaia di manager e tecnici e questo governo, per lo meno, ha chiarito alcuni aspetti legati alla governance di alto livello. Ma come il precedente, non ha ancora spiegato come farà a reclutare le competenze manageriali e tecniche che servono per mettere a terra questi progetti, con quali strumenti, quali contratti e in che forma.


Senza tutto questo, credo che lo stanziamento di risorse produrrà gli effetti che hanno prodotto risorse anche ingenti di progetti europei stanziate negli anni precedenti, ossia molto modesti. Abbiamo il problema storico nel Paese: la macchina organizzativa, la macchina statale, sembra sempre che funzioni a metà.
E quale potrebbe essere il vostro ruolo?

Un'associazione come la nostra può dialogare a tutti i livelli, perché possiamo avere un dialogo a livello centrale ma poi possiamo anche istituire collaborazioni a livello territoriale in tutti i settori che sono investiti.
Con CIDA (Confederazione italiana dei dirigenti e delle alte professionalità), di cui sono presidente, rappresentiamo i dirigenti scolastici, i medici ospedalieri e i dirigenti della Pubblica Amministrazione centrale e locale, e poi tutti i settori privati con Manageritalia. Abbiamo la possibilità di dialogo allargata ed è anche quella di entrare più nei dettagli con le singole realtà associative. Il turismo, per esempio, è uno di quei settori in cui possiamo dire il nostro parere e soprattutto è facile relazionarsi, qui siamo organizzati e capillari.


Questo è solo un esempio.

Ma quali sono i problemi della PA?

Non ha un'ossatura organizzativa e dei processi solidi. 
Poi per fortuna ci sono persone che oltre che competenti sono dotate di buona volontà e le cose funzionano. C'è stata una reazione e una risposta pronta alla situazione della pandemia, anche in molti casi superiore alle aspettative, però dove tutto questo non c'è stato si è sostanzialmente fermata tutta la macchina.
Il problema vero è che non c'è uno standard al quale tendere, ci sono delle eccellenze e delle aree che definirei di abbandono. Questo è un effetto che si vede anche nelle aziende private, ma in una frazione perché i manager sono abituati a reagire, a organizzarsi e quindi intraprendere lo smartworking, ripensare i reparti produttivi, adeguare le norme di sicurezza e via di seguito, ma altre che hanno semplicemente subito la situazione con un approccio meno dinamico e rischiano di essere completamente dimenticate.

Come vede oggi i sindacati e la possibilità che la contrattualistica possa cambiare?

Credo che uno degli effetti di questo periodo sia stato far capire che il modello del contratto collettivo nazionale è tutt'altro che superato.


Mi spiego: ha mostrato una forza e una tenuta anche nei settori in cui non è presente.
Questo è un elemento importante che abbiamo tutti quanti compreso, basti vedere quanto non è stato assolutamente possibile realizzare nel settore delle libere professioni e nel settore dei lavoratori autonomi, dove non esistendo delle strutture contrattuali ora si tenta di inseguire con dei rimborsi basati su parametri molto grossolani.
Quindi, bene o male dove c'è un contratto chiaro e definito esiste il meccanismo cassa integrazione e ha funzionato, con i limiti del caso. Credo a questa convergenza verso un lavoro, che definiamo "organizzato", che abbia da un lato una struttura di welfare universale che protegga e salvaguardi tutti; e dall'altro una flessibilità maggiore di tipo economico possa essere d'aiuto in tutti i settori. Non possiamo più pensare che l'autonomo e quello che ha redditi variabili non abbiano tutele. Questo sarà un percorso inevitabile.

E sul tema della sostenibilità?

Questa è la partita vera da giocare.
Abbiamo motivo per ripensare alle città, al traffico e al peso delle infrastrutture.


Al tempo stessa abbiamo delle ricadute da gestire, perché chiaramente questo riduce l'attività commerciale e quindi bisogna fare una riflessione più ampia.
Credo che abbiamo la chance di poter rimodellare il futuro e che non possiamo permetterci di perdere, ma è anche un passaggio delicato. Dobbiamo pensare al modello economico, che sia sostenibile, che potrebbe essere finanziato dalle risorse ingenti del piano nazionale.
E' il momento dell'accelerazione su questi temi e ci sono molti interessi in gioco, anche dal punto di vista geopolitico è diventato importante e l'Europa deve giocare un ruolo assolutamente centrale.


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