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03/03/2021

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Com'è stato il 2020 per il Sistema Moda? Un annus horribilis

Forte impatto del Covid sul settore. Mercato europeo in sofferenza, regge il mercato asiatico, accelera il digitale con l'eCommerce. Per l'Italia il ritorno ai livelli pre-crisi è previsto nel 2023

Si potrebbe dire per amor di sintesi che il "coronavirus ha fermato la moda". E non si andrebbe poi così lontano dalla realtà, visto che con i vari lockdown lo occasioni sia di shopping fisico, sia di utilizzo dei prodotti, si sono ridotte drasticamente. E infatti, i dati che emergono Report dell'Area Studi Mediobanca sul Sistema Moda "Global Fashion Companies" sono purtroppo impietosi, anche se lasciano spazio a più di qualche speranza per il futuro.
Quelli relativi ai primi nove mesi del 2020 segnano per i maggiori player mondiali del fashion una riduzione del giro d'affari cinque volte maggiore di quella registrata dalla grande industria. Il mercato europeo ha sofferto (-23,7%), fortemente penalizzato dal blocco dei flussi turistici, mentre quello asiatico ha visto un calo più contenuto (-10,1% escludendo il Giappone).
In tutte le aree geografiche le vendite online hanno avuto un'accelerazione a doppia cifra (mediamente +60%). La crisi è stata più impattante sulle multinazionali europee del fashion (- 22,9% le vendite, -10,9 p.p. il calo dell'ebit margin) rispetto a quelle statunitensi (-19,7%, -7,3 p.

p.).
Non mancano però alcuni segnali positivi nell'ultimo trimestre del 2020 quando i primi dati indicano un rimbalzo del fatturato a livello aggregato (+17%), con un ritmo di ripresa differente a livello geografico e a seconda delle specialità.
Nel 2019 gli 80 maggiori player mondiali del fashion, con un giro d'affari superiore a 1 mld di euro, hanno fatturato ? 471 mld (+26,5% sul 2015 e +4,9% sul 2018), di cui il 56% generato dai gruppi europei e il 34% dai nordamericani.
Fra i 38 gruppi europei, l'Italia con le sue big 10 è il Paese più rappresentato a livello numerico, ma è la Francia, con una quota del 36% del fatturato aggregato, ad aggiudicarsi il primato per giro d'affari.
Al primo posto per giro d'affari tra i colossi mondiali c'è LVMH (53,7 mld di euro). Molto distanti Nike (33,3 mld), Inditex (28,3 mld), che controlla Zara, la tedesca adidas (23,6 mld), la svedese H&M (22,3 mld), la giapponese Fast Retailing (18,8 mld), che detiene il brand UNIQLO, ed EssilorLuxottica (17,4 mld).

Prima tra gli italiani Prada (3,2 mld), al 34esimo posto in classifica.
 



L'impatto del COVID-19 sul settore moda in Italia: -23%


Per il settore moda italiano (società con un fatturato superiore a 100 mln di euro) la contrazione del giro d'affari per il 2020 dovrebbe attestarsi al -23%; guardando al futuro, ci sarà una ripresa a partire dal 2021 con un raggiungimento dei livelli pre-crisi previsto nel 2023. Nel 2019 il settore moda italiano ha registrato un giro d'affari totale di 71,1 mld di euro (+20,8% sul 2015), con una crescita media annua delle vendite nel 2015-2019 del 4,8%. Cresce anche il peso del comparto sul Pil nazionale (1,2%, contro l'1,0% del 2015).
Tra i settori spicca l'abbigliamento, che da solo determina il 42,9% dei ricavi aggregati, seguito dalla pelletteria (26,1%). Quanto alla crescita media annua delle vendite nel 2015-2019 si distingue, invece, la gioielleria (+10,3%) seguita dal comparto pelli, cuoio e calzature (+7,8%).
Si conferma importante la presenza di gruppi stranieri nella moda italiana: 71 delle 177 aziende hanno una proprietà straniera e controllano il 37,2% del fatturato aggregato (il 17,3% è francese, fra cui Kering con il 7,3% e LVMH con il 6,5%).

La proiezione internazionale è una delle caratteristiche più rappresentative delle società manifatturiere della moda italiana: il 66,5% del fatturato complessivo proviene, infatti, dall'estero, con in testa il tessile (72,8%).
Cresce anche l'occupazione, con più di 43.700 nuovi addetti (+16,9% sul 2015), per una forza lavoro totale di 303mila unità a fine 2019. Bene soprattutto la gioielleria (+45,0% sul 2015) e il comparto pelli, cuoio e calzature (+28,7%). Le aziende quotate con la quota di maggioranza in capo a una famiglia registrano l'ebit margin migliore (12,9%) e al contempo si mostrano più propense all'export (80,4%).
 



Diversity: donne ai vertici più presenti nelle aziende francesi e USA


Dall'analisi della varietà di genere nei board delle 80 multinazionali mondiali della moda emerge che la presenza femminile cala all'aumentare del livello di responsabilità in azienda: la quota di donne sul totale della forza lavoro è mediamente pari al 65,9%, ma scende al 29,3% a livello di Cda. I gruppi statunitensi hanno più consiglieri donna (34,1%) rispetto a quelli europei (27,9%).



Ampiamente sopra la media europea si collocano i player francesi e britannici con una quota di donne presenti nei Cda pari rispettivamente al 43,1% e 36,9%. I gruppi italiani si fermano al 21,3%. Le meno rappresentate nelle loro aziende sono le donne giapponesi: solo una ogni dieci consiglieri.

Sostenibilità ambientale: cresce l'impegno Green


Dall'analisi dei bilanci di sostenibilità 2019 emerge che le multinazionali mondiali della moda si sono impegnate per un futuro più sostenibile ponendo maggior attenzione alla salvaguardia dell'ambiente.
Diminuiscono i consumi idrici (-3,4%), le emissioni di CO2 (-5,1%), i rifiuti prodotti (-3,1%) e aumenta il ricorso all'energia elettrica rinnovabile (dal 42,6% nel 2018 al 49,9% nel 2019). Mediamente più sostenibili i gruppi statunitensi rispetto a quelli europei: solo in un indicatore, quello dell'utilizzo di energia rinnovabile, i gruppi europei si posizionano meglio degli statunitensi, attingendo da fonti green il 59% del proprio fabbisogno energetico rispetto al 38% degli americani.
Sempre dall'analisi dei bilanci di sostenibilità emerge che i fornitori dei maggiori player mondiali del fashion sono localizzati per il 63% in Asia, per il 28% in Europa e per il 5% in Nord America, con punte di oltre il 90% in Asia per il fast fashion e l'abbigliamento e calzature sportive.


Infine, un segnale inequivocabile dell'eccellenza della filiera italiana: mediamente oltre un quarto dei fornitori dei gruppi europei della moda ha sede in Italia, con picchi di oltre l'80% nella fascia alta del mercato.


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