Un lavoratore su tre non ha le competenze giuste
Secondo BCG è una "tassa" pari al 10% del PIL mondiale e la pandemia aggrava la crisi. Italia 34esima nell'indice generale con quasi 10 milioni di lavoratori male assortiti
In tutto il mondo almeno 1,3 miliardi di persone sono sovraqualificati o sottoqualificati. Per i Paesi OCSE, si parla di un lavoratore su tre. È il problema dello "skills gap", cioè l'assenza di risorse dotate di competenze per svolgere un determinato lavoro, e dello skills mismatch, minaccia più sottile in cui i lavoratori ci sono, ma a causa dell'evoluzione delle tecniche e dei mezzi le loro competenze non sono più adatte o compatibili. Il fenomeno, spesso trascurato da chi governa, è un segnale utile per valutare la salute di un'economia e soprattutto ha ricadute pesanti.
L'ultimo studio di Boston Consulting Group (BCG), dal titolo "Alleviating the Heavy Toll of the Global Skills Mismatch", è tornato sul tema partendo dai dati del 2018, quando lo skill mismatch si traduceva in 8 mila miliardi di dollari di Pil mancato ogni anno, equivalenti al 6%. Per il 2020 si prevede di arrivare al 10%. E la percentuale, nel peggiore dei casi, può toccare l'11% del Pil fino al 2025, pari a 18 mila miliardi di dollari.
La relazione con innovazione, produttività e sviluppo sostenibile è inversa: più aumenta lo skills mismatch e peggiore diventa la prestazione di un Paese.
La pandemia ne ha aggravato l'impatto, specie per l'introduzione forzata di forme di lavoro nuove ma attese da tempo (come quello da remoto), accelerando il processo sempre più necessario di digitalizzazione e di automazione. Se il mondo lavorativo cambia a velocità vertiginosa, la formazione non sembra tenere il passo. Spesso mancano le competenze, a volte sono invece superate. In ogni caso devono essere recuperate: il Paese che affronta il problema in modo efficace ne trae benefici in termini di Pil.
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