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14/10/2020

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Alessandro Rimassa: guidare le persone attraverso i valori, sposando produttività e felicità

Un nuovo sistema operativo per le aziende, che diventi l'abilitatore del cambiamento e che possa essere il motore della crescita

In occasione dell'uscita di "Company Culture", abbiamo intervistato Alessandro Rimassa, per cercare di comprendere cosa sta accadendo nelle aziende italiane e se il cambiamento forzato dalla pandemia sarà duraturo o solo una moda passeggera. Rimassa è un imprenditore ed esperto dei temi che ruotano intorno al future of work, ha costruito la sua carriera nel mondo education e della digital transformation. Oggi è advisor di Luxottica University, consulente strategico di Feltrinelli Education e founder di Changers, community italiana dedicata alla crescita professionale. Dopo avere diretto il Centro Ricerche e la Scuola di Comunicazione e Management di IED-Istituto Europeo di Design, ha co-fondato e guidato, come CEO, Talent Garden Innovation School, oggi presente in cinque Paesi europei. È membro dei consigli di amministrazione di Save the Children Italia, ScuolaZoo e i40Saas.

Partiamo dal libro, ma anche dalla tua esperienza di questi anni, dove la cultura aziendale è sempre stato il tuo cavallo di battaglia.

Ma come sta cambiando la cultura aziendale in questo periodo?


Molte imprese stanno cambiando la loro cultura aziendale e questo è già un elemento di novità. Diciamo che è un processo che diverse imprese stavano già facendo, ma il lockdown e la pandemia hanno accelerato questo cambiamento. Ma è come se il mercato si fosse improvvisamente diviso in due poli separati. Da un lato chi realmente mette al centro le persone, che non è più uno slogan ma una maniera concreta, mettendo per esempio in comunicazione costante l'Amministratore Delegato con l'ultimo arrivato e ha offerto una serie di supporti, dall'assicurazione medica al supporto psicologico fino a chi ha inviato a casa le sedie ergonomiche per lavorare meglio. E dall'altro aziende che con il COVID-19 si sono bloccate e posto in cassa integrazione i lavoratori. Parlare di cultura aziendale, di colpo, è diventato di moda, ma non in maniera teorica, a modo di slogan, bensì in modo concreto e fattivo. C'è un'altra cosa che il coronavirus ha accelerato ed è la trasformazione e il cambiamento continuo che viviamo, perché la quarta rivoluzione industriale, la digital trasformation ha portato un grande cambiamento e che oggi vive di concetti come il live budgeting o il light business planning.

E' un cambiamento che era in corso, ma che ha preso una grande accelerazione. Oggi non si può più fare un piano di 3-5 anni, ma uno teorico di tre anni che si trasforma in un piano concreto per il prossimo anno, ma che può essere rivisto due o tre volte nel corso dell'anno per modificarlo.

E' come se il COVID-19 abbia cambiato lo scenario.

Sì, le condizioni al contorno sono cambiate, il contesto è cambiato e quindi abbiamo iniziato a vivere una necessità di cambiamento costante. Tutto questo significa che le regole normali, quelle che tengono insieme l'azienda, non funzionano più, perché se tu devi cambiare la procedura sulla nota spese e devi coinvolgere le persone per farne una nuova che scrive il nuovo regolamento per comunicarlo e verificare che sia utilizzato dalle persone. Diciamo che in condizioni normali, a seconda della grandezza di un'azienda, servono da sei mesi a un anno e mezzo, ma in realtà si ha la necessità di questo cambiamento subito e le aziende hanno iniziato a sostituire regole e procedure burocrazia interne in tempi brevi. La burocrazia interna è quella che fa perdere tempo e anche un po' di "amore" alle persone per il proprio lavoro.

Oggi questo è cambiato, con metodologie più smart e soprattutto con la possibilità per le persone, all'interno dell'azienda, di scegliere in base a dei valori che sono quelli di base su cui poi ci si costruisce il comportamento. Meno regole burocratiche, secondo me, sono un vantaggio per trasferire la cultura aziendale. Si lavoro su un set di valori e una modalità di fare azienda che permette alle persone poi di muoversi in autonomia e si arriva al concetto di responsabilizzazione. Vengono abilitate delle forme che prediligono la meritocrazia. Ha un grande impatto sulle aziende e anche sulle persone che poi devono decidere cosa fare.

C'è stato un grande impatto dovuto alla pandemia per lo smartworking. Cosa hai visto e cosa resterà?

Le aziende vecchio stampo si sono trovate in difficoltà, chi invece ha cavalcato l'onda è riuscita a operare. Questo è il punto focale, nel senso che cambiare la modalità con cui si gestisce l'azienda non è facile. Per esempio, Innestare lo smartworking, quello vero e non quello che abbiamo vissuto fino adesso, cambia il modo di lavorare e permette di trattenere le persone migliori e attrarre persone di valore.

Oggi è sempre più difficile assumere una persona brava e competente se la prima cosa che l'azienda propone è che l'orario di lavoro è dalle 9 alle 18. Le persone competenti non vogliono questo tipo di lavoro, vogliono degli obiettivi da raggiungere e migliorare nel corso del tempo. Vogliono gestire il loro tempo e poter lavorare da qualsiasi luogo, non da una scrivania a tempo. Questo cambiamento che stiamo vivendo costringe a vedere l'azienda in un altro modo. Devo dire che ho incontrato in questi mesi diversi Amministratori Delegati che per primi hanno ammesso di che si può lavorare in un modo diverso, che si può dare più fiducia alle persone, si può essere più trasparenti, si può lavorare da casa e stare bene. E' accaduto perché, banalmente, hanno provato su di loro stessi questo modo di lavorare.
La vera sfida, secondo me, è che in Italia oggi abbiamo un livello di polarizzazione con grandi aziende che stanno - anche un po' per preoccupazione per l'epidemia che non è terminata - sperimentando nuove modalità di lavoro e stanno continuando a tenere uffici chiusi o comunque con accessi contingentati da una parte, e dall'altra ci sono invece tante piccole aziende in cui si è tornati tutti a lavorare come se niente fosse.



Il problema per imprenditori e manager delle aziende più piccole, ma non solo per loro, è che poi rischino di perdere le persone migliori.
Secondo me, oggi noi abbiamo davanti mesi, ma forse anche un paio d'anni, di continua sperimentazione sui modi di lavorare, cioè non c'è un "new normal", ma possiamo fare sperimentazioni. Stiamo parlando di knowledge workers, perché le persone che lavorano nei servizi o che lavorano nel manifatturiero e via di seguito non possono usufruire di nuove modalità di lavoro. Tutto il mondo dei lavoratori intellettuali ha di fronte una sfida enorme, quella di costruire nuovi modi di lavorare. Non deve essere uno per tutti, non deve essere la stessa applicazione nemmeno per tutti i dipartimenti, ma la modalità migliore applicabile per lavorare nelle condizioni migliori, efficaci e proficue. Sono curioso, per esempio, di vedere cosa accadrà dopo il 15 ottobre, perché bisognerà probabilmente legiferare sul tema.
Credo che si debbano dare delle regole generali, ma che poi si debba lasciare spazio alla contrattazione della singola azienda perché nella singola azienda ci devono essere modi di lavorare diversi.


Non mi preoccupa tanto chi dice che l'azienda si approfitta del lavoratore, perché siamo in un mercato del lavoro che di fatto è diventato molto più fluido di prima e quindi ci sarà la possibilità per le persone di valore di cambiare azienda. Le aziende che perdono le persone di valore poi, a loro volta, cambieranno modo di lavorare perché non saranno più competitive. In questo contesto, abbiamo anche il tema della formazione. Mai come oggi dobbiamo formare persone a lavori nuovi, a modi di operare diversi.

C'è una frase di una responsabile HR americana che dice "assumi le persone per una comunanza di valori tra loro e l'azienda e poi le skills dagliele". Infatti, non prendi le skills che un lavoratore ha oggi e pensi che siano buone tra tre anni, ma probabilmente neanche tra nove mesi, per cui la cosa migliore è continuare a dargliele. Secondo me, la vera sfida della formazione è usare bene la formazione digitale, la formazione online, perché che era una cosa che specialmente nel corporate training si usava abbastanza poco, se non per le cose più massive o i corsi sulla sicurezza.


Usarla bene, e quando di usarla bene non dico di costruire giornate di training da seguire, ma il concetto di learning in the flow of life, dare piccoli pezzi di training quotidiani e costanti alle proprie persone, cinque minuti al giorno, 10 minuti al giorno, fornendo contenuti che le persone possono man mano applicare.
Non bisogna pensare più ai grossi programmi di training, quelli per cui ci si ferma per due settimane, anche un MBA per i manager di un'azienda può diventare qualcosa che si fa cinque minuti al giorno per un anno. Non bisogna più avere il dualismo tra lavoro e training, oppure a vabbè dire "oggi ho tutta la giornata di training quindi non lavoro" e poi in verità "sto fuori dall'aula al telefono", perché succedeva così, piuttosto che stare dentro l'aula col computer a leggere le mail. Questa formazione non serve a niente. Dobbiamo sfruttare la quotidianità delle persone e man mano aiutarle a formarsi. Dobbiamo partire dal presupposto che se non formi le tue persone le perdi. Cito spesso il dialogo tra un CEO e un Chief HR, dove il primo chiede "ma se spendiamo tutti questi soldi per formare questa gente e poi questi se ne vanno" e il Chief HR risponde "e se non li formiamo e poi rimangono?".


Dobbiamo formare le persone sapendo che possono andarsene, vero, ma se c'è un'azienda attenta alle persone e che continua a formarle e ingaggiarle non se ne vanno. Le persone cercano delle "case in cui stare".
E come si preserva la cultura aziendale con lo smartworking, visto che ci si incontra sempre meno?

Smartworking non è lavorare da casa, non è il remote working o home working forzato che abbiamo vissuto durante il lockdown. Smartworking significa lavorare per obiettivi. Una volta che lavori per obiettivi, capisci come raggiungere quegli obiettivi al meglio. Se io e te dobbiamo progettare il nuovo website o un giornale cartaceo di Business Community, forse abbiamo bisogno di stare insieme due-tre giorni, magari anche due mesi di fila, abbiamo bisogno di avere con noi il grafico e le altre figure necessario. Questo perché abbiamo bisogno di fare un lavoro fortemente creativo. Ma se tu oggi devi fare solo interviste e le fai tutte a distanza come questa, per quale motivo devi andare in ufficio, dove senti il vicino che parla, squillano telefoni e sostanzialmente disturbi i colleghi? Si può lavorare da casa, o in uno spazio di coworking se necessario, piuttosto che decido che è una bella giornata e sto al parco o magari parto per la montagna e poi faccio tutto da lì così stasera andrò a mangiare il cervo con la polenta.


Bisogna costruire nuovi modi di lavorare e le aziende più grandi hanno iniziato a ragionarci.
Molto interessante l'accordo sindacale che ha fatto TIM a luglio, in cui tutte le proprie risorse della popolazione degli uffici potranno lavorare due o tre giorni da casa per sempre. Questa è la regola generale, poi secondo me bisogna costruire delle regole intelligenti, che non sono mai le regole generali perché dipende da che cosa devi fare e dai vari ruoli. La vera sfida della leadership di management è l'idea di cambiare davvero, quella che è la leadership e di costruire servant leadership, sia nei confronti della persona sia della dell'azienda, per riuscire a ottenere il risultato migliore per tutti.
Con questo modo di lavorare non rischi neanche di avere quelli che non fanno niente e che si imboscano, perché vengono, passatemi il termine, "uccisi" dal proprio team. Non serve che il capo se ne accorga direttamente, ma lavorando insieme è il team che non vuole un lavativo al proprio interno. Per incontrarci e trasferire i valori ci sono tante occasioni, non solo in ufficio: magari ci si può incontrare a pranzo per vedersi e discutere di qualcosa.


Le opportunità sono tante. E tu, Alessandro, cosa hai imparato da marzo ad oggi?


Ho imparato che volevo fare un anno sabbatico e non sono portato, ho imparato che si può costruire una buona comunicazione e una buona relazione anche a distanza, ma bisogna rispettare delle regole, sia che si tratti di riunioni sia meeting con persone che non conosci. Le regole sono pochissime ma fondamentali: sapere cosa succede nel momento in cui sarai con un'altra persona, avere un'agenda del meeting e soprattutto essere puntuali, che è una cosa che nessuno di noi faceva prima. E poi accendere la videocamera nei meeting, perché adesso dal video sapete che io bevo vino, che ho dei quadri in casa e quindi sapete delle cose di me che che altrimenti non avreste scoperto in una sala riunioni o in ufficio. Nella relazione a distanza ho imparato che hanno senso le riunioni in poche persone, ma lo sapevamo anche "dal vivo", in quelle in cui ci sono 20 persone, rischi che stiano facendo i fatti propri.
Negli anni precedenti ho passato tanto tempo all'estero, ho comprato un azienda in nord Europa e ne ho aperte altre in diversi Paesi e ho cercato di imparare dagli altri come si può lavorare meglio, perché noi italiani buttiamo via un sacco di tempo.


Ho scoperto che gli altri non sono più bravi a lavorare di noi, sono solo più concentrati e più attenti a quello che devono devono fare.
Per il resto noi italiani siamo tra i migliori lavoratori. Quindi secondo me con il lockdown abbiamo tutti imparato che si può lavorare meglio e in maniera più efficace e più efficiente.Ho imparato che il futuro del lavoro nelle aziende va costruito con le proprie persone, non si possono fare comunicazioni punto e basta, top down, ma bisogna costruire modi di lavorare partecipati.
Ho imparato, e mi è capitato perché sto lavorando su diversi progetti e parlando con decine di Amministratori Delegati e direttori HR, che ci sono tante persone che hanno riscoperto la passione per il lavoro e la passione per la propria azienda, che hanno imparato ad apprezzare la propria azienda! Credo che alla fine ci portiamo a casa che si esce dal periodo delle lamentele alla macchinetta del caffè e si passa invece al fatto che, sebbene ci sia qualcosa che non funziona, alla mia azienda propongo qualcosa di diverso per farla. La mia speranza è che questo sia l'occasione per avere un modo di lavorare diverso per la maggior parte delle nostre aziende, che cancelli la disfunzionalità della burocrazia e della politica interna che è presente in troppe aziende, e si metta al centro la meritocrazia, la passione, la voglia di fare delle persone, anche la possibilità di sbagliare.


Ci sono tanti aspetti positivi di questo periodo che ci siamo "portati a casa" e su cui possiamo costruire.
Ultima domanda: tre ragioni per leggere il tuo libro.

Tre ragioni per "Company Culture": la prima è che chi lo legge scoprirà che ci sono tantissime aziende in Italia, quindi non in Silicon Valley, che hanno fatto della cultura aziendale il sistema operativo attraverso cui gestiscono l'azienda. Ho intervistato 22 direttori HR italiani e il contributi di 51 esperti in dieci aree di lavoro che operano in Italia e quindi ci sono tantissimi casi concreti per capire che c'è un altro modo di fare azienda. Seconda ragione: per scoprire come fare azienda in un altro modo. Come passare da un sistema operativo vecchio e desueto, quello con delle regole, delle procedure e la burocrazia, a un sistema operativo nuovo, che è quello dei valori. Tutta la seconda parte del libro è dedicata a questo, anzi c'è poi c'è un framework che si può scaricare gratuitamente dal sito companyculture.it .
La terza ragione è che nel libro, dopo aver presentato il canvas, si dice una cosa fondamentale: senza le persone, la cultura aziendale come sistema operativo non la implementerà mai! Si parla di leadership, ma non intesa come termine sostitutivo del management, ma come modalità di leadership per tutte le persone all'interno dell'azienda e quindi si va a trovare quello che è un modello a cui le persone dovrebbero dedicarsi nella costruzione continua della cultura aziendale.


Alla fine il libro non diventa solo quello che spero che sia, una piacevole lettura, ma uno strumento concreto perché abbiamo urgenza di cambiare le aziende. Ho la presunzione e l'augurio che questo libro possa essere utile come traccia per il cambiamento.


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