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16/09/2020

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Daniela Corsaro (IULM): i brand devono creare una nuova connessione col consumatore

In un mondo alle prese con la pandemia la comunicazione corporate è quasi più importante di quella di prodotto. E anche il sales deve adeguarsi

I brand devono evolversi e comunicare in modo differente per esser più efficaci e costruirsi (o ricostruirsi) una nuova immagine agli occhi del consumatore. Perché il cambiamento è iniziato anche prima della pandemia e occorre adeguarsi per stare sul mercato. Ne abbiamo parlato con Daniela Corsaro, professore associato di marketing e vendite presso l'Università IULM.

Come sta evolvendo il modo di comunicare in quest'epoca di pandemia?

Indubbiamente il cambiamento nel modo di comunicare che la pandemia ha generato è importante, ma c'era già un cambiamento in atto. La comunicazione, il marketing e le vendite stanno evolvendo, però c'è stata una forte accelerazione. Abbiamo trovato delle aziende che effettivamente hanno colto questa onda e stanno cambiando, ma ne vediamo altre che sono più lente in questo processo.

Cosa avete osservato con le ricerche dell'Università IULM?

Un ritorno al concetto della "purpuse" aziendale, dove il brand non deve più solo comunicare il prodotto; o meglio la comunicazione del prodotto è destinata ad essere molto meno efficace rispetto al passato, a favore di altre dimensioni.

Daniela Corsaro (IULM): i brand devono creare una nuova connessione col consumatore

Purpose significa trasmettere i significati profondi (deep meaning), l'attenzione innanzitutto alla sostenibilità, alla comunità e vedere il consumatore non solo come il ricevente dell'offerta ma nel suo complesso, con tutte le sue identità. 

Il brand credo che debba comunicare non solo al cliente ma mostrare attenzione e sensibilità verso tutta una serie di player che ruotano attorno come, per esempio, i fornitori, gli stakeholder e via di seguito. Se noi guardiamo comunque i dati del RepTrack Company (già Reputation Institute), che ha condotto una ricerca per misurare questo trend pre-covid, in merito alla comunicazione di prodotto rispetto a quella legata più alla comunicazione corporate, si vedeva che la prima è passata da 43,2% nel 2014 mentre nel 2019 è diventata 34,9%, ma la comunicazione corporate aumenta del 8,3 punti per arrivare a pesare il 65,1%.

Era un trend in atto, figuriamoci ora con la pandemia cosa sta accadendo!

Ora i consumatori non hanno proprio voglia di perdere tempo e quindi i brand devono cambiare strategia, perché quella comunicazione che risulta essere anche solo lontanamente un po' manipolativa o un po' troppo persuasiva non è più gradita, perché il COVID-19 ha generato incertezza nelle persone e noi tutti come esseri umani quando percepiamo l'incertezza e il bisogno di fiducia, di rassicurazioni.

E come si crea questa fiducia?

Per un brand significa creare una connessione estesa e relazionale, basata sui valori. I consumatori sceglieranno sempre di più quei brand che ritengono che possano migliorare la propria vita, un aspetto, oppure portino un vantaggio concreto. C'è una maggiore "consapevolezza" dei consumatori, ma anche una maggiore razionalizzazione dei bisogni e delle aspirazioni.

Per esempio, nel fashion abbiamo condotto delle analisi attraverso un osservatorio dell'Università IULM e un'azienda di digital intelligence, Buzztech, dove abbiamo analizzato milioni di feed dall'inizio dell'anno sui social media e analizzato le conversazioni. Abbiamo visto un incremento drammatico dei concetti di "sustenaible fashion", "slow fashion" o "ethical fashion".

Seguici: 

Certo non dico che è la fine della logo-mania, ma c'è sicuramente un ridimensionamento e sto vedendo tanti brand occuparsi di questi temi a tutto tondo. Ora le persone vogliono essere ispirate. Anche io stessa quando vado dai nostri clienti sento il bisogno di fargli "respirare" qualche cosa in più.

Alcuni brand si sono già mossi, ma quali sono i rischi?

I brand bene o male si stanno muovendo, ma è necessario fare attenzione perché l'influenza che arriva al consumatore non è solo di comunicazione, ma è anche un'influenza di marketing e di vendite.
 

Il consumatore vede il brand come un'entità unica, non distingue i vari livelli e non vuole nemmeno conoscerli. Come Università IULM e il Centro sulla Comunicazione Strategica abbiamo realizzato una ricerca, di cui sono responsabile, su come le persone di vendita contribuiscono a contestualizzare la purpose, fatto che non si può fare con la corporate communication.

Tutto deve essere inserito in un contesto e con una visione d'insieme. La domanda che le aziende dovrebbero porsi è: ma la comunicazione, il marketing e il sales sono integrati e allineati?

In questo contesto, molto oggi è affidato all'automazione: come ci si deve comportare?

Il marketing, ma anche le vendite, stanno utilizzando sistemi di automazione perché l'esplosione dell'eCommerce e il proliferare di soluzioni informatiche hanno portato un cambiamento significativo sull'operatività dei brand. Le aziende hanno colto questa opportunità e l'hanno resa concreta ed è un elemento molto positivo.

La marketing automation era già una realtà, ora si è compreso che ci sono ampi margini di miglioramento, soprattutto in termini di organizzazione interna per allineare meglio marketing e vendite per lavorare in maniera sinergica.

Oggi le aziende comprano automazione come prima acquistavano CRM, ma devono sfruttarne le potenzialità e per fare questo non devono ragionare come dei silos separati ma collaborare, relazionarsi e condividere la comunicazione. In un'epoca in cui l'omnichannel è la regola, non si possono separare dati, strategie ed idee, devono integrarsi.

La personalizzazione della comunicazione è importante, ma conta molto come ci si approccia al cliente, come lo si coinvolge, come lo si informa, perché il cross selling è sempre più la normalità. Bisogna integrare il customer service a non pensare nella logica del quick sales ma in una logica relazionale. E' un grande cambiamento di strategia, ma anche di operatività. Questo emerge chiaramente da una nostra ricerca sulla Marketing Automation svolta in collaborazione con Selligent-Di.Gi. International.

Ma le nostre aziende, magari anche le PMI, sono davvero pronte?

Molti brand hanno iniziato questo cambiamento, altre hanno compreso che devono farlo, altri iniziano a pensarci. In Università IULM abbiamo già studiato la trasformazione e questi passaggi già da diversi anni, ma quello che stiamo vedendo è un cambiamento su più aspetti: sul marketing, sulle vendite, ma anche dei consumatori e avviene tutto insieme.


Se pensiamo al ciclo di vendita, vediamo che si allunga il numero di interlocutori e quindi la complessità. Un'analisi fatta a dicembre 2019 con Dale Carnegie, mostrava già i segnali di questo cambiamento da parte delle vendite e l'uso delle competenze trasversali diventavano fondamentali.
Il COVID-19 ha aumentato questa necessità, per cui alle abilità di vendita si devono associare le capacità di analizzare i dati e vedere il valore.

Quella ricerca mostrava che solo il 30 per cento del tempo dei venditori era dedicato alla vendita, quindi l'uso di tecnologie avanzate può portare valore e aumentare quella percentuale. E' una necessità di business, ma anche di competenze dei reparti vendite. La pandemia ha messo il tempo delle persone al centro, per cui tutti vogliono dedicarsi alle cose che piacciono o che reputano utili, e quindi anche per il lavoro si sta registrando lo stesso trend.

In pratica, cosa avviene?

C'è, a tutti i livelli, una fortissima attenzione ai valori e al valore delle "cose". A dicembre la ricerca mostrava i quattro pilastri, persone, tecnologia, processi e integrazione degli stessi. L'accelerazione della tecnologia è ancora più forte dopo lo scoppio della pandemia, ma credo che ci sia la necessità di concentrarsi sui contenuti, puntando sulla qualità.

Se in questa fase poniamo ancora più al centro la relazione con i clienti, il brand lo sta facendo anche con i dipendenti, ma anche con la comunità in cui opera.

Bisogna prestare attenzione perché ci sono delle aree in cui invece di accelerare è necessario decelerare, che sono tutte quelle legate all'interazione personale. Quando si costruisce la fiducia, è un percorso lungo, ci vuole tempo. Quindi, è il passaggio strategico che devono fare le aziende: non solo velocità a tutti i costi, ma anche calma e pazienza. I rapporti umani, per esempio, non possono essere veloci e sbrigativi, hanno regole ben definite. 

La tecnologia è uno strumento di supporto, ma l'ultimo miglio è costituito da altri elementi: il sorriso della persona nel negozio, dalla simpatia di chi ti accoglie nel post vendita, da una stretta di mano (quando si potrà tornare a farla). Sono elementi che non possiamo misurare ma che per un brand spesso fanno la differenza.



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