In un mondo con tassi e crescita contenuti i Paesi emergenti risultano sempre più attraenti
Berg (T. Rowe Price): non è il momento giusto per diventare ultra-difensivi nel portafoglio, dato che a nostro avviso ci troviamo agli inizi di un nuovo ciclo per l'azionario
La risposta di governi e banche centrali sia nel mondo sviluppato che in quello emergente è stata senza precedenti.
In tutto il mondo i governi hanno lanciato un segnale molto forte in merito al loro impegno a fare tutto il necessario per aiutare le piccole aziende, i lavoratori e i disoccupati a superare la crisi da COVID-19.
Sembra che abbiano fatto molto più di quanto ci si potesse aspettare all'inizio della pandemia e non c'è quindi dubbio che abbiano fatto abbastanza per tentare di evitare la recessione globale da molti attesa.

Ci si aspetta che a livello globale il QE delle banche centrali nel 2021 sarà più che doppio rispetto all'ultimo picco raggiunto nel 2010 dopo la crisi finanziaria globale (Figura 1).
Per dare una dimensione a questo fenomeno, in un periodo di 3-4 mesi la Fed ha adottato un QE circa doppio rispetto a quello introdotto durante l'intero periodo della crisi finanziaria globale tra il 2008 e il 2010.
Il coronavirus potrebbe cambiare il profilo di crescita dei mercati emergenti?
Per rispondere a questa domanda ha senso dividere i mercati emergenti in diversi gruppi.
Nel primo troviamo la Cina, che pur essendo stato il fulcro originario del virus, mostra rendimenti da inizio anno per il segmento A-share in linea con quelli del NASDAQ, essendo stata l'economia con le migliori performance tra i principali Paesi del mondo e la prima a entrare in fase di ripresa.
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