Siamo stati chiusi in casa per oltre due mesi in sospensione esistenziale.
Questa situazione ci ha fatto scoprire una nuova condizione (mancanze importanti, piccoli dettagli dimenticati, nuove relazioni con i vicini di casa, solidarietà inaspettata, maggior rispetto per la convivenza forzata, code al supermercato, videoconferenze, ecc?).
La verità è che di fronte a un nuovo nemico che non conoscevamo (e che non conosciamo ancora) abbiamo dovuto cambiare stile di vita tra molte paure e molte incertezze.
Oggi (domani) supereremo questo momento e ristabiliremo un nuovo sentimento collettivo di positività.
Poi bisognerà trovare nuove destinazioni.
Sicuramente non sarà facile con l'emergenza economica e sociale che dovremo affrontare.
In tutta questa situazione il consumatore è frastornato e cerca a gran voce un nuovo ordine: più autenticità, più responsabilità, più coscienza (sociale e civica) e più cultura. Penso che molte delle esagerazioni e degli eccessi a cui abbiamo assistito negli ultimi anni diventeranno inopportuni e fuori luogo.
Nel mio saggio (ndr Legendary Brands) introduco un nuovo concetto per l'impresa, la saggezza: l'aspirazione è che le aziende diventino più virtuose e capaci di comportamenti sempre più ammirevoli e meritocratici per migliorare il mondo che le circonda: questo è anche significato di leggendarietà.
E come il marketing può rispondere a questo "new normal"?
A mio avviso ci sono (ci saranno) due fenomeni pulsanti: da un lato un trend di restaurazione che intende ripristinare la situazione pre-covid - new old normal - e un altro trend di rinnovamento che invece intende trovare nuove soluzioni e nuove interpretazioni post-covid, new new normal.
Quindi la domanda che l'azienda si dovrebbe porre è: restaurare o rinnovare?
Il marketing avrà un grande ruolo per guidare questa scelta e, specialmente nel secondo caso, bisognerà mettere in discussione il passato per un futuro diverso e, speriamo migliore.
Per ri-progettare, il marketing dovrà aumentare la sua capacità conoscitiva e investigativa al fine di comprendere la portata e l'entità di questo momento di cambiamento.
In fondo, se è vero che stiamo vivendo in un evento storico, il futuro inizia adesso.
L'Italia è stata per anni una fucina di idee da cui sono nate grandi aziende anche di dimensione internazionale.
Oggi sembra che non sia più così.
Perché? Questione di cultura?
È quasi sempre una questione di cultura.
Il paradigma culturale che troviamo oggi nelle aziende è poco stimolante, si parla tanto di heritage e di storia d'impresa perché oggi non siamo in grado di sviluppare nuova cultura, nuova contaminazione, nuova sapienza e nuovo futuro.
Bisognerebbe parlare di nuovi progetti, di nuove frontiere, di aumentare gli investimenti in ricerca e sviluppo e in innovazione.
Oggi le frontiere del nuovo sapere sono la tecnologia e il digitale.
L'Italia è in ritardo su entrambi i fronti.
Molte aziende lo hanno capito e hanno iniziato a investire in questi ambiti.
Bisogna ricordare che molte grandi imprese sono nate nei periodi di boom e da imprenditori in contro tendenza.
Speriamo di entrare a breve in un periodo di crescita e che nuovi capitani d'impresa illuminati ci stupiscano con grandi discontinuità capaci di durare nel tempo.
Molte delle nostre eccellenze di filiera, pensiamo per esempio alla moda o all'automotive, erano già in fase di rallentamento prima del coronavirus.
Come è possibile rilanciarle?
Qui entriamo nel dettaglio e bisogna fare un ragionamento più puntuale.
Nell'alto di gamma moda e automotive l'Italia ha delle eccellenze e delle aziende leggendarie ampiamente riconosciute che dominano i loro segmenti di mercato con grande vantaggio competitivo e successo (ndr Armani, Zegna, Ferrari, Lamborghini).
Nei segmenti di mercato premium e mass-market c'è una concorrenza spietata.
Per rilanciare questi settori bisognerebbe re-immaginare e ri-progettare una proposta merceologica diversa in grado di cogliere nuove discontinuità, nuovi cambiamenti, nuove creatività e nuovi consumatori.
Molto probabilmente abbiamo bisogno di una rinnovata generazione di designer-imprenditori.
Quanto conta in epoca di pandemia il Made in Italy?
Il Made in Italy è una miniera di saperi e di conoscenza.
Non per altro tutti i grandi marchi del lusso vengono a produrre in Italia oppure hanno acquistato aziende di manifattura nostrana.
In questo momento storico la speranza è che la tutta la filiera produttiva regga l'impatto della mancanza di liquidità.
Oggi più che mai sarà fondamentale che l'azienda si faccia carico di proteggere anche i fornitori strategici e quelli più innovativi per non compromettere il proprio vantaggio competitivo.
Da imprenditore, come si rivaluta e favorisce la possibilità di fare impresa in Italia?
La buona impresa si è sempre basata principalmente su comportamenti fondati sul realismo, sulla creatività commerciale, sulla competenza, sull'ambizione e sul coraggio.
Oggi non basta più e ci vuole anche nutrita trasparenza, limitato provincialismo, abbondante meritocrazia e pochissimo assistenzialismo.
Qui si innesta il tema delle nuove generazioni e dei passaggi generazionali: abbiamo bisogno di giovani intraprendenti e responsabili che facciano impresa e di diversamente giovani che li aiutino e li accompagnino in questo percorso; sicuramente necessitiamo anche di più donne al comando per migliorare la diversity e la governance.
E, infine, come manager: quali sono le problematiche delle PMI alle prese con una imprescindibile internazionalizzazione?
Il COVID-19 ha bruscamente interrotto il ciclo economico dell'export e della globalizzazione e bisognerà capire i reali danni.
Per le nostre PMI rimane fondamentale la crescita tramite l'internazionalizzazione scegliendo i mercati giusti dove andare a vendere.
Molte volte ho visto aziende che volevano internazionalizzare, ma non conoscevano i mercati, la concorrenza, il pricing, i partner potenziali.
Ritenevano che il semplice Made in Italy e il saper fare bene il prodotto fossero sufficienti: l'esperienza ci insegna che bisogna prima sapere e poi creare le condizioni per internazionalizzare.
Quindi ci vuole tempo e pazienza.
Sempre di più i risultati veloci di breve periodo non saranno più sufficienti per creare una storia di successo.
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