I manager sono la chiave per l'adozione dello smartworking
Caporale (Wyser): l'emergenza da Covid-19 ha indotto numerose aziende a scegliere l'opzione del lavoro da remoto per non fermare la produzione, con poche e semplici Best practice
Con l'emergenza da Coronavirus l'Italia ha scoperto i lati potenzialmente positivi di una pratica ancora guardata con sospetto, quella del lavoro da remoto. Telelavoro o smartworking, a seconda di quali siano le esigenze dell'azienda, si pongono in un contesto di emergenza come una possibilità per le imprese che non vogliono interrompere il flusso produttivo, oltre a dare dimostrazione di grande fiducia ai dipendenti che, a loro volta, devono dare prova di una certa maturità e capacità di autogestirsi.
Secondo le stime dell'Osservatorio Smartworking 2019 del Politecnico di Milano, sono circa 570 mila (+20% rispetto al 2018) i dipendenti che possono godere di flessibilità in termini di orario e luogo disponendo di strumenti digitali. Lo scenario è in continua evoluzione dal 2017, quando venne approvata la Legge sul Lavoro Agile: i numeri da allora sono in costante crescita. Dopo una partenza che ha visto protagoniste le grandi imprese (58%) del nostro Paese, in un secondo momento anche le PMI hanno scelto di abbracciare questa pratica: i progetti strutturati passano dall'8% al 12% e quelli informali dal 16% al 18%.
''Avviare un progetto strutturato riguardante la flessibilità di luogo o di spazio significa anche ripensare gli ambienti lavorativi e la dotazione tecnologica per portare a un radicale cambiamento culturale orientato agli obiettivi'', ha spiegato Carlo Caporale, Amministratore Delegato di Wyser Italia. ''I numeri sono positivi in linea generale, tuttavia l'emergenza Coronavirus ha spinto o costretto molte imprese, anche quelle non pronte a livello culturale o infrastrutturale, ad adottare il lavoro agile nel giro di poche ore. Non fermare la produttività è giusto, ma per approcciarsi allo smartworking ci vuole del criterio, anche per tutelare i professionisti stessi che possono patire un gap, se nuovi alla pratica, rispetto ad altri colleghi che lavorano da remoto regolarmente''.
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