Noi li abbiamo misurati nel triennio 2016-2018, che è stato un periodo di crescita dopo una serie di anni in cui c'era un quadro recessivo.
Quello che emerge sostanzialmente è che un numero rilevante di imprese (circa ili 20%) in questi anni, e anche nei prossimi, è interessato da passaggi generazionali e quindi di transizione dal punto di vista della governance, Questo è un elemento importante, una su cinque non è un dato secondario.
Molte di queste imprese rilevano criticità in questa transizione.
Quindi un elemento di riflessione scaturisce da questo tipo di considerazioni.
Dato il carattere famigliare del capitalismo italiani, anche nei segmenti dimensionali più elevati, queste criticità rilevate dalle imprese, in termini anche di competenze nel passaggio generazionale, sembrano di un certo interesse.
Un ulteriore aspetto è quello delle strategie di sviluppo.
Abbiamo rilevato un numero interessante di imprese che è impegnato in queste strategie.
La prima, per frequenza, è la modernizzazione del loro asset, know how produttivo e tecnologico.
Poi seguono, in misura molto inferiore, l'ampliamento della gamma, la diversificazione.
Però c'è un certo attivismo sul fronte dei processi di sviluppo.
Un altro fattore riguarda gli obiettivi strategici di impresa.
Chiaramente, l'elemento di difesa della propria competitività è centrale, però sono abbastanza rilevanti anche le strategie più espansive, come l'ampliamento di mercato dei prodotti o quello delle reti di relazione, che sono elementi importanti per il sistema produttivo italiano.
E anche le relazioni con l'estero, sia in espansione in uscita verso l'estero, ma anche in rientro: molte imprese hanno dichiarato una strategia di "reshoring" (ritorno in Italia) della produzione o della presenza all'estero.
Quindi, come si vede, il sistema è veramente impegnato in tanti processi di cambiamento.
Quali sono i maggiori ostacoli alla competitività che avete rilevato?
Un aspetto centrale, data anche la frammentazione del sistema produttivo italiano, è quello degli oneri amministrativi e burocratici.
Questi sono sentiti tantissimo dalle imprese e rappresentano di fatto il primo elemento che ostacola in qualche modo il business.
Un altro elemento sono i vincoli finanziari, dichiarati chiaramente soprattutto dalle piccole imprese, che sembrano esser percepiti come rilevanti ostacoli allo sviluppo.
Poi ci sono anche una serie di fattori di contesto, come quello socio-economico che può esser degradato e quindi non incentivare lo sviluppo.
Però diciamo che i primi due sembrano rappresentare gli aspetti più rilevanti.
Digitale e trasformazione digitale.
La trasformazione digitale delle imprese italiane sembra procedere per gradi.
Quindi c'è un processo abbastanza evidente.
C'è un processo di infrastrutturazione minima nel digitale che sembra interessare tante imprese.
Ma siamo ancora indietro, nella prima infrastrutturazione, e dalle nostre analisi emerge chiaramente che c'è una evoluzione nel momento in cui le imprese, una volta consolidato il profilo digitale di base, poi tendono a impegnarsi in altri processi.
Questo elemento cumulativo della transizione digitale è un fattore di un certo interesse ed evidenzia anche la sua complessità.
Non basta la connessione oppure il cloud.
La trasformazione digitale per essere sfruttata pienamente presuppone una strategia specifica da parte delle imprese che non sembra emergere con chiarezza.
A livello di fonti di finanziamento, cosa è cambiato nel triennio preso in esame?
Hanno registrato un cambiamento notevole, nel senso che l'autofinanziamento che era stato misurato nel 2011 ha subito un netto incremento in termine di fonte principale di approvvigionamento per le imprese.
Questo è un elemento importante che ha riposizionato la relazione delle imprese con il sistema delle banche e del credito.
Ci sono ancora casi molto limitati di ricorso all'equity (ma in crescita), e anche di strumentazione più complessa.
Però il sistema italiano è molto autofinanziato, ed è un sistema in cui le banche e il credito bancario - a breve e medio termine - rappresentano gli elementi centrali.
E se parliamo di internazionalizzazione?
In questo caso abbiamo misurato circa 6mila imprese che producono all'estero, un numero non irrilevante.
Dal punto di vista del confronto temporale abbiamo visto che c'è stato un aumento di "peso" delle attività produttive all'estero effettuate a seguito di investimenti diretti (IDE) piuttosto che di delocalizzazione in base ad accordi.
Quindi, l'aspetto di investimento diretto sembra aver acquisito molto peso.
Che cosa è cambiato a livello di relazioni tra imprese?
Il tema delle relazioni produttive è centrale.
Nel senso che con un sistema così frammentato e polverizzato l'interconnessione tra le imprese in termine di relazioni produttive stabili sembra rappresentare un vantaggio competitivo anche e soprattutto per le piccole imprese.
Ma non solo.
Il quadro di sintesi complessivo fa emergere una quota di circa il 20% delle imprese classificabili come "ad alto dinamismo".
Abbiamo definito un indicatore che sintetizza i comportamenti strategici e gli obiettivi delle imprese.
Sulla base di incroci tra questi dati e dati quantitativi sulla performance, è verificato che con comportamenti ad alto dinamismo le imprese riescono a generare performance rilevanti in termini di livello degli indicatori, quindi produttività e profittabilità, ma soprattutto di dinamica.
Quindi lo sviluppo delle imprese, con comportamenti altamente dinamici, è nettamente superiore a quella delle altre.
In parte questo è scontato, ma non necessariamente.
Nel senso che effettivamente ci dice che chi intraprende un percorso di sviluppo, o comunque di attitudine ed esposizione anche al rischio, poi riceve una remunerazione.
E' un fattore che ci dice che la strategia espansiva mediamente ha successo.
Che differenze avete rilevato tra terziario e industrie di produzione?
Il terziario si sta evolvendo e la cosa interessante è che c'è una diffusione di comportamenti di sviluppo in generale anche in settori tradizionali del terziario come, per esempio, i servizi alle famiglie, che normalmente vengono percepiti come comparti a basa produttività o a bassa dimensione strategica.
In realtà, sembra che anche lì ci siano percorsi di maggiore complessità.
Questo è importante perché c'è una componente di modernizzazione anche in settori tradizionali.
Il terziario è un elemento centrale per tutte le economie.
E' cresciuto molto, e quindi il fatto di rilevare comportamenti dinamici anche in settori tradizionali è importante.
C'è stato uno calo dalla produzione a favore servizi rispetto a rilevazioni precedenti.
Certamente.
Negli ultimi sette anni il peso dei servizi, soprattutto in termini occupazionali, è aumentato tantissimo.
Volendo sintetizzare, possiamo dire che a fronte di una terziarizzazione dell'economia non c'è stata una deindustrializzazione.
Nel senso che la manifattura ha mantenuto una quota importante - soprattutto in termini di valore aggiunto - e ha generato una spinta alla crescita per tutto il sistema, testimoniata anche dalla performance sui mercati internazionali di assoluto rilievo anche in termini di livelli complessivi.
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