Cyber security: il ruolo dell'individuo nella protezione delle aziende
Dessi (Axitea): il fattore H è sottovalutato. Oltre il 99% delle minacce richiede un'interazione umana per agire, tanto per indicare l'importanza del social engineering
Quando si presentano a un cliente le armi e le strategie per difendersi da attacchi e si spiega come comportarsi in caso di incidente, si parla sempre di soluzioni, servizi e tecnologie.
Si dà spesso troppa poca importanza a quella che è attualmente la causa principale di incidenti di sicurezza: il fattore umano o, come viene chiamato in ambito cyber, il fattore H.

Gli attaccanti usano sempre più il social engineering per rendere i loro attacchi il più possibile efficaci e abbastanza ingannevoli da indurre le persone a cadere nel tranello di aprire file, cliccare su link o condividere informazioni con altri utenti, creando una catena di problemi per le aziende e gli utenti.
Secondo un recente studio del vendor di security Proofpoint, oltre il 99% delle minacce richiede un'interazione umana per agire - l'abilitazione di una macro, l'apertura di un file, di un link o di un documento - a indicare l'importanza del social engineering per consentire il successo di un attacco.
Da un lato, la ricerca di vulnerabilità tecnologiche è diventata sempre più complessa e costosa anche per i cybercriminali, mentre un utilizzo sempre più spinto dei social media, non sempre ottimale dal punto di vista della sicurezza, mette a disposizione di tutti informazioni anche personali che possono essere utilizzate per creare messaggi credibili che spingano i destinatari ad azioni imprudenti e non conformi alle policy aziendali.