Una vita da limoni
PMI, liberi professionisti, commercianti e artigiani nel mirino del fisco per combattere l'evasione fiscale. Ma non si tiene conto dell'effettivo livello di tassazione.
E di chi veramente evade
Ogni governo che nasce parla e straparla di lotta all'evasione fiscale.
Chiariamo subito che l'evasione (o l'elusione) è una cosa odiosa, che sottrae risorse allo stesso stato che poi si vorrebbe che spendesse per assicurarci i servizi.
Detto questo, la strada intrapresa dal Conte bis sembra basare la sua strategia sulla dematerializzazione della moneta, quasi obbligando ai pagamenti elettronici, e la demonizzazione di commercianti, autonomi e professionisti.
Nei decenni abbiamo visto redditometri, spesometri, studi di settore, controlli "casuali" a campione e altre misure di pseudocontrollo (persino un decreto "manette agli evasori"!) che hanno finito per andare a vessare chi le tasse già le pagava.

Vessazioni che hanno persino portato all'evasione per necessità.
Non sono state proprio una questione di equità e neanche risolutiva per le entrate dello stato.
Ogni imprenditore o libero professionista lo sa: se arriva un accertamento o una cartella dell'agenzia delle Entrate, si finisce sempre per pagare poco o molto anche se è tutto in regola, grazie all'interpretatività della normativa.
E in più ci sono le parcelle di commercialisti, tributaristi ecc.
Quello che forse non si riesce, o non si vuole, capire da parte di chi vuol mettere mano al problema dell'evasione, è che se si vuole realmente far cassa subito occorre andare a controllare chi produce grossi flussi di denaro, non certo commercianti o autonomi a tappeto.
Questione di dimensioni d'impresa e di risorse per perseguirli.
L'evasione vera è quella dei grandi gruppi, delle conglomerate finanziarie che mettono o spostano sedi in paradisi fiscali europei (o ancora più fuori) e poi operano, diciamo, con una certa disinvoltura.