Se un operaio lo paghi 500 euro tutto compreso, poi chiaro che l'azienda si trova in condizioni di vantaggio nell'export rispetto ai concorrenti italiani, tedeschi o spagnoli.
Ma quando non basta più neanche questo, con i licenziamenti il problema diventerà sociale, in una situazione che ha visto peraltro un numero enorme di immigrati arrivare negli ultimi anni: danke Mutti Angela!
Teniamo poi conto che in Germania il comparto servizi non è certo così sviluppato come in altri Paesi, tra cui l'Italia.
Inoltre, la Germania soffre di una grave crisi di approvvigionamento energetico, avendo basato la sua intera produzione sullo sfruttamento dei combustibili fossili (carbone, lignite ecc.), rimanendo l'unico Paese realmente inquinante d'Europa.
Si lava la coscienza acquistando "certificati verdi" dai Paesi dell'Est, molto etico.
La svolta "verde" della ormai ex cancelliera arriva troppo tardi e alla sua promessa di azzerare la dipendenza dal carbone entro il 2050, non crede più nessuno, dopo che Merkel stessa aveva firmato in pompa magna il trattato di Parigi ma poi di fatto non ha mosso un dito per non scontentare gli industriali.
Ci vorrebbero decine e decine di miliardi di euro di investimenti solo per ammodernare impianti, strutture, infrastrutture, e i mille fattori che contribuiscono a far funzionare il Paese.
Ma il fattore energetico è cruciale: se prima i combustibili fossili li avevi in casa, poi la materia prima la si dovrà acquistare all'estero, con evidente impatto sulla bilancia dei pagamenti e sui prezzi di prodotti e servizi.
Tutto questo in un Paese dove debito e peccato si dicono nello stesso modo, schuld, tanto per far comprendere quanto la logica del "braccino corto" sia radicata da quelle parti.
Il futuro quindi non è roseo.
Ormai sono sempre di più i media che titolano allarmati "Germania il malato d'Europa", come Bloomberg recentemente, per esempio.
Anche perché il Paese rimane pur sempre la prima economia del continente.
Ma dove avevamo già sentito questa frase? Era il 1994, e come dimostra la foto, anche allora la Germania Ovest era in gravissima crisi.
Poi arrivò il conto della riunificazione (pagato da noi europei), l'euro, gli accordi Hartz 4, il dumping salariale, gli sforamenti dei sacri parametri di Maastricht e l'egemonia (in semi-coabitazione con la Francia) sull'Unione Europea.
Allora l'Europa diede molto più che una mano alla Germania, sulla scorta di un forte spirito solidaristico.
Ma quello che accadde dopo fu una sorta di lenta guerra asincrona da parte di Berlino, che non potendo più usare mezzi bellici, utilizzò quelli politico-finanziari.
Macinando surplus grazie alle esportazioni, i capitali ricominciarono a fluire verso Berlino che iniziò la sua scalata.
Non è così che si comportano Paesi amici, si creano solide alleanze e cooperazione.
La crisi del 2007-08, quella dei subprime, richiese un'iniezione di liquidità statale per salvare le banche di oltre 70 mld di euro, che non sarebbe stata consentita dalle regole comunitarie.
Nessuno osò fiatare.
Così come pochi protestarono quando nel 2011 Deutsche Bank liquidò improvvisamente miliardi di titoli del tesoro italiani innescando la crisi dello spread per far cadere l'allora governo.
Poi, con la crisi della Grecia, causata da una commessa bellica non pagata, qualcuno si inventò il fondo salva-stati, che con la scusante di prestare soldi al governo di Atene furono salvate nuovamente le banche tedesche (e francesi).
L'arrivo della Troika consentì la predazione del Paese da parte delle grandi aziende tedesche.
Nel frattempo fu creato il meccanismo perverso del "bail in" che mise in ginocchio migliaia di risparmiatori italiani ed istituti di credito.
Anche per questo a Francoforte non hanno mai voluto sentir parlare di unione bancaria.
Sempre grazie alla disinvoltura della finanza tedesca (e dei suoi satelliti), entrarono poi in crisi la Spagna, il Portogallo, la stessa Irlanda.
La Troika si assicurò che nessuno in Germania perdesse un euro.
Nel contempo, dall'America di Trump iniziarono ad arrivare cause e multe come se piovesse sull'industria automobilistica e chimica tedesche e sulle banche di Francoforte.
Infrazioni per miliardi e miliardi, che iniziarono a minare le fondamenta dei più grandi gruppi.
La guerra dei dazi tra USA e Cina, con il conseguente rallentamento del commercio globale, ha poi fatto il resto.
Col surplus commerciale che si fa più esiguo, il comparto manifatturiero sempre più in crisi e una recessione che può preludere a problematiche sociali, il futuro della Germania non appare roseo.
Soprattutto per gli industriali.
Saranno ancora padroni in Europa, grazie alla Francia e ai soliti lacchè, ma per quanto? L'euro è ogni giorno sempre più fragile, nonostante gli sforzi di Draghi.
E le istituzioni europee sempre più lontane dalla realtà.
Diciannove Paesi sono ingabbiati nell'euro, senza possibilità di manovra.
L'Unione Europea adesso se la deve vedere con potenze e situazioni che richiedono competenze, decisioni condivise e per il bene comune, non di pochi eletti.
E la crisi mondiale si avvicina sempre di più.
Sembra di esser tornati al 1994, solo che allora l'Italia era la quarta o quinta potenza industriale al mondo, mentre ora decenni di scorribande predatorie hanno depauperato in modo forse irreparabile il nostro tessuto produttivo.
E tra i predatori c'era proprio quella Germania che ora è in difficoltà.
E se imparassimo noi a dire "nein"?
Oscar Leoni
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