Gli effetti cumulativi sulle azioni sono stati negativi: gli indici S&P 500 ed MSCI EAFE hanno perso, rispettivamente, il 6% e il 5% nel mese di maggio, sebbene da inizio anno mantengano ancora un +11% e +8%.
L'MSCI Emerging Markets ha perso il 7% nel mese, ma da inizio anno mantiene un +4%.
E adesso cosa succederà?
Oggi, l'interrogativo principale è questo: il rallentamento proseguirà oppure ci sarà una stabilizzazione con una potenziale riaccelerazione nel secondo semestre? Negli Stati Uniti, il rallentamento non ha interessato solo l'indice PMI, ma anche gli investimenti aziendali e i beni strumentali. Sul fronte positivo, tuttavia, segnali incoraggianti giungono dalla fiducia dei consumatori, dall'occupazione, dalla crescita dei salari e dall'aumento della produzione.
L'inflazione resta contenuta, offrendo alle banche centrali spazi sufficienti per mantenere un orientamento accomodante.
In Giappone, discutendo con economisti e analisti, ho concluso che difficilmente il governo posticiperà l'aumento dell'IVA (che incombe minaccioso sulla domanda).
La Cina, da canto suo, ha registrato una leggera flessione dell'indice PMI manifatturiero a 49,4, dopo due mesi di crescita.
Le elezioni per il Parlamento europeo si sono concluse con un'avanzata inferiore al previsto da parte dei partiti radicali, limitando - si spera - il rischio di terremoti politici.
Fatte queste dovute premesse, da tempo ci aspettiamo un rallentamento della crescita globale dopo il picco del 2018 e, forse, è proprio questo il rallentamento che ci attendevamo, anche se forse sta durando più del previsto.
Al momento, non nutriamo eccessivi timori che l'attuale debolezza possa produrre un cambiamento più significativo delle prospettive economiche, tale da richiedere una modifica dell'asset allocation.
L'orientamento accomodante della Fed (la cui prossima mossa sarà probabilmente una riduzione dei tassi, anziché un aumento) e la prosecuzione delle misure di stimolo da parte della Cina sono due pilastri che, al netto delle recenti delusioni, dovrebbero a nostro avviso contribuire a stabilizzare il contesto economico globale.
Rischio costante
Che cosa potrebbe minacciare un simile scenario? Il pericolo principale è forse costituito dalle tensioni geopolitiche e commerciali, che potrebbero minare la fiducia.
Tra la fine del 2016 al 2018, le presidenziali USA, la riduzione delle imposte e le riforme normative hanno sostenuto le aziende e i consumatori a livello psicologico, ma le incertezze collegate alle questioni commerciali stanno già annullando questi progressi.
Il pericolo di un'imposizione di dazi sulle auto, sebbene posticipato, non è del tutto svanito. E Trump ha da poco minacciato di voler imporre dazi sui prodotti messicani come misura per contrastare i flussi migratori, nonostante il nuovo accordo commerciale tra Messico, Stati Uniti e Canada sia attualmente in attesa di ratifica da parte del Congresso.
Per quanto riguarda la Cina, resto più ottimista: sono persuaso che alla fine un accordo verrà raggiunto, sebbene sia palese che i problemi strutturali in materia di proprietà intellettuale, trasferimento di tecnologie e sussidi saranno difficili da risolvere nel breve termine.
A fine giugno si terrà il G-20 e nell'occasione è probabile un faccia a faccia tra Xi e Trump.
Nel frattempo, non lasciamoci sorprendere dalle schermaglie verbali che impegneranno entrambe le parti e dai conseguenti cambi di direzione dei mercati.
Per concludere, manteniamo invariate le nostre view di asset allocation, ma teniamo d'occhio i segnali economici e di mercato, tenendo presenti queste parole di John Maynard Keynes: "Quando le informazioni a mia disposizione cambiano, modifico le mie conclusioni".
A differenza di noi, non era uno spettatore ai bordi del ring di una lotta geoeconomica.
Nondimeno, la sua lezione rimane valida.
Joseph V.
Amato, President and Chief Investment Officer - Equities, Neuberger Berman
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