Le previsioni non sono tutte uguali
E' una questione di affidabilità e credibilità e il Centro Studi di Confindustria non ne è certo un esempio. Basta ricordare ciò che scrisse in occasione del referendum del 2016
Le previsioni le sbaglia solo chi non le fa.
La frase è vecchia come il mondo ma rende bene l'idea che non si può prevedere il futuro.
Specialmente in ambito economico.
Però, attraverso l'analisi di alcuni fattori è possibile fare delle ipotesi, che dovrebbero contemplare molteplici scenari.
L'affidabilità di chi fa queste ipotesi è data ex-post dal numero di queste che si siano dimostrate corrette o almeno il più vicino possibile alla realtà.

Quindi non tutti gli scenari hanno la stessa affidabilità, da cui deriva la credibilità chi li ha fatti.
Recentemente il Financial Times ha ridicolizzato il FMI perchè dal 1991 ad oggi le sue previsioni sono state praticamente tutte smentite.
E a proposito di affidabilità, in questi giorni si parla molto delle previsioni del Centro Studi di Confindustria (CSC) sull'andamento dell'Italia nel 2019.
Esse vedono per il nostro Paese una crescita prossima allo zero, contro un dato di oltre l'1% ipotizzato dal governo in sede di Finanziaria.
E da qui, sui media si sono scatenati gli opinionisti, chiedendo immediatamente conto all'esecutivo di queste previsioni.
Pochi si sono posti il dubbio che siano sbagliate: Confindustria è Confindustria.
Chiariamo subito un paio di cose.
L'Italia in circa 20 anni (dall'entrata in vigore dell'euro) è cresciuta del 3% circa.

Non all'anno, ma in totale.
Ciò significa che se in qualche anno si è vista una crescita, in molti altri si è rilevato un calo.
E anche forte.
Quindi una ipotesi di crescita italiana nulla, non è che poi sia un cigno nero, anzi.
Inoltre, le previsioni del CSC si basano su due presupposti: un forte calo dell'export, e l'incapacità di generare crescita da misure come il reddito di cittadinanza o quota 100.
In pratica, queste non aiuterebbero i consumi interni.
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