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06/03/2019

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Prestiti bancari ancora in calo per micro, piccole e medie imprese

Zocchi (October): nel 2018 sono diminuiti del 5% rispetto all'anno precedente. Tra il 2010 e il 2017 i finanziamenti alle aziende dei distretti italiani si sono ridotti di 57 miliardi. Occorre diversificare le fonti di finanziamento

Le imprese italiane, specialmente quelle di piccole e medie dimensioni, devono ripensare le loro modalità di accesso al credito, diversificando le fonti di finanziamento. In tempi di credit crunch delle banche italiane, anche grazie allo sviluppo di nuove tecnologie, le alternative ai classici canali di approvvigionamento sono oggi diverse e valide. Tra queste trova spazio il peer-to-peer lending, cioè il sistema che permette ad investitori privati e istituzionali di prestare soldi alle imprese attraverso una piattaforma online.
Secondo Sergio Zocchi, CEO di October Italia, "il clima di incertezza politica e la percentuale di debito pubblico detenuta da parte degli istituti di credito italiani hanno accentuato fenomeni di riduzione di erogazione del credito soprattutto per imprese di piccole dimensioni. Per un Paese come il nostro, il cui tessuto imprenditoriale è costituito prevalentemente da piccole e medie imprese, questo rappresenta un vero e proprio limite allo sviluppo e alla competitività. Le PMI oggi, per sopravvivere e rimanere competitive devono diversificare le fonti di finanziamento.

Le nuove tecnologie agevolano sicuramente questo processo mettendo loro a disposizione nuovi strumenti per l'accesso al credito in tempi molto brevi".
In Italia - secondo l'ultimo rapporto di Unimpresa - nel 2018 i prestiti alle PMI italiane si sono ridotti del 5% rispetto all'anno precedente. A soffrire sono soprattutto i debiti a breve termine (-9%).

Quali sono le cause?

Uno dei principali motivi che sta causando la restrizione nell'offerta di finanziamenti bancari riguarda il legame tra il clima di incertezza politica e la percentuale di debito pubblico detenuta da parte degli istituti di credito italiani.
Secondo dati di Banca d'Italia, una parte molto consistente del debito pubblico (32%) è detenuta dalle banche italiane che sono dunque fortemente esposte all'indicatore di rischio rappresentato dallo spread. Quest'ultimo esprime la differenza tra il rendimento dei BTP italiani rispetto ai bund tedeschi.
Se il rendimento dei titoli si alza, in funzione del maggior rischio percepito dai mercati, il valore di mercato dei titoli si riduce e le banche detentrici si espongono di conseguenza ad una perdita patrimoniale.

Per rivalersi di questa perdita e soddisfare i stringenti requisiti patrimoniali imposti dagli accordi di Basilea 2 e 3, le banche non possono far altro che rivedere le condizioni dei prestiti per i debitori più rischiosi o ridurne l'erogazione.
L'incremento dello spread produce anche conseguenze negative direttamente sulle imprese comportando un aumento del costo del debito e quindi un calo della redditività. Secondo una simulazione compiuta da Cerved all'interno del Rapporto PMI 2018, ad ogni aumento di 100 punti base del costo del debito corrisponde una riduzione del ROE di almeno un punto percentuale.

Quali sono gli effetti del credit crunch sulle PMI italiane?

Le PMI sono esposte agli effetti del credit crunch perché vengono considerate più rischiose rispetto alle imprese di grandi dimensioni. Quindi, in presenza di una stretta creditizia, le banche bilanceranno il maggior rischio in due modi: richiedendo una remunerazione (tasso d'interesse) maggiore o evitando del tutto la concessione del finanziamento stesso alle imprese più piccole.

Quali sono i distretti industriali maggiormente colpiti dal credit crunch?

I distretti industriali sono agglomerati di piccole e medie imprese attive in un particolare ambito produttivo e concentrate in un determinato territorio.

Le imprese distrettuali, sfruttando i vantaggi dell'appartenenza a questo agglomerato, rappresentano delle vere e proprie eccellenze del made in Italy. È quanto emerge dal Rapporto Economia e Finanza dei Distretti Industriali di Intesa Sanpaolo. La competitività dei distretti si è manifestata soprattutto nella loro capacità di reazione alla crisi. Tra il 2008 e il 2016 il fatturato delle imprese distrettuali è aumentato del 10%, andando ben oltre il tasso di crescita del 5,9% registrato dalle aziende non distrettuali nel medesimo periodo.
La restrizione del credito bancario ha colpito con forza i 141 distretti industriali presenti nel territorio italiano e che costituiscono circa un quarto del sistema produttivo del nostro Paese. Grazie a dati ISTAT e Banca d'Italia, è possibile identificare i distretti industriali che più di altri hanno subito le conseguenze del credit crunch.
Nel periodo compreso tra il 2010 e il 2017, i finanziamenti alle imprese dei distretti italiani si sono ridotti, complessivamente, di 57 miliardi. Accanto a questa riduzione si è accompagnato un progressivo calo della presenza delle banche locali nel territorio.


Il numero di sportelli presenti nei distretti oggetto di analisi si è ridotto del 20%.
Il comparto che ha maggiormente risentito della restrizione del credito e della crisi delle banche è stato quello dell'arredamento. I distretti industriali di questo comparto, presenti principalmente in Brianza, nel Veneto e nel centro Italia hanno subito una riduzione pari al 35%.

Quali regioni sono state maggiormente colpite?

La crisi del credito bancario ha colpito tutto il Paese ma, in alcune regioni, il fallimento di importanti banche locali ha aggravato il fenomeno. Non a caso sono i distretti industriali del Veneto ad avere subito la maggiore riduzione percentuale dei finanziamenti dal canale bancario.
Mai come oggi è importante per le imprese finanziare la crescita della propria attività facendo affidamento su fonti di finanziamento alternative rispetto al canale bancario.


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