Flexible working: entro il 2030 varrà 10mila miliardi di dollari
Mordini (Regus): è il valore aggiunto lordo all'economia globale portato dalla riduzione dei costi e dall'accrescimento della produttività innescati dalla diffusione dello smart working su vasta scala
Lavoro flessibile o Flexible working: non solo un benefit per il singolo lavoratore, bensì un meccanismo virtuoso per ogni sistema-paese che porterà un valore aggiunto lordo all'economia globale entro il 2030 pari a 10 trilioni di dollari. Ben oltre i PIL attuali di Giappone e Germania messi insieme.
A tanto ammonta il valore calcolato in "The Added Value of Flexible Working", il primo studio socio-economico che analizza l'impatto dello smart working (ma non solo), commissionato a economisti indipendenti da Regus, leader mondiale per la fornitura di spazi di lavoro.

Entro il 2030, si stima che nella maggior parte delle economie sviluppate una percentuale di impieghi compresa tra l'8% e il 13% potrà beneficiare di pratiche di lavoro flessibile. Ciò porterà a una riduzione dei costi per le imprese e a un incremento della produttività che innescherà una reazione a catena virtuosa per l'intera economia globale.
Tra le nazioni che contribuiranno in misura maggiore al lavoro flessibile vi sono gli Stati Uniti (13%) e i Paesi Bassi (12,3%).
USA e Cina i Paesi che ne beneficeranno di più
Secondo lo studio, che ha preso in considerazione 16 Paesi in tutto il mondo, saranno Stati Uniti e Cina a beneficiare maggiormente degli effetti del lavoro flessibile. In termini di numeri assoluti, infatti, il valore aggiunto lordo (VAL) generato negli USA sarà pari a 4,5 trilioni di dollari all'anno (+109% VAL), più del 20% del PIL nazionale attuale e più dell'intero PIL corrente della Germania. Per la Cina, tale valore si attesta a 1,4 trilioni di dollari (+193% VAL).
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