La web tax è sbagliata perché è recessiva per le aziende italiane
Liscia (Netcomm): siamo favorevoli all’applicazione di un’imposta sulle società che operano nel mercato digitale purché basata sui profitti e non sui fatturati e a parità di condizioni nel contesto fiscale
Con la legge di Bilancio 2017 anche l’Italia ha elaborato una proposta di web tax che prevede, a partire dal 1° gennaio 2019, l’applicazione di un’imposta del 3% sui servizi digitali B2B, nei confronti di stabili organizzazioni di soggetti sia residenti che non residenti nel territorio dello Stato.
Un grido di allarme è stato lanciato da Roberto Liscia, presidente Netcomm, secondo cui questa tassa potrebbe avere ricadute molto negative per le imprese italiane, specialmente le PMI.
Quali sarebbero gli impatti della web tax sull'economia italiana?

Sono sicuramente di natura recessiva.
Come tutte le tasse sulla fatturazione e non sui profitti.
Facciamo l’esempio una tassa alla fonte, le accise sulla benzina: provocano danni ai consumatori.
Basti vedere cosa sta accadendo con le proteste di piazza in Francia in questi giorni.
E' evidente la necessità che tutti paghino in maniera corretta le tasse, ma la tassazione deve essere equa e nella metrica dei profitti, non del fatturato.
E anche a parità di condizioni nel contesto fiscale, in modo che le imprese siano tassate in modo equo e non discriminatorio.
Siamo assolutamente preoccupati perchè a livello europeo e italiano per colpire pochi si “uccidono” altri.
Come con le accise, che innescano misure recessive.
Il costo della tassa si rifletterà inevitabilmente lungo la supply chain, con maggiori costi per le PMI e di conseguenza per i consumatori, frenando la crescita delle imprese e gli investimenti, con effetti dannosi sulla competitività delle aziende e perdita di posti di lavoro.