Ayming Empowering Innovation: le aziende italiane si focalizzano su prodotti e servizi
Secondo una ricerca Ayming, il 58% si concentra su processi/procedure e solo il 29% indica di innovare a livello organizzativo. Per il 60% l'innovazione è una priorità
Innovazione è il driver che assicura alle aziende sopravvivenza e crescita sui mercati. Ma frequentemente è parecchio difficile da misurare capire realmente come le imprese percepiscano, sviluppino ed implementino questo fattore, che pure è nel loro DNA. Per cercare di dare delle risposte Ayming - con la partnership di AIRI (Associazione Italiana per la Ricerca Industriale), ANDAF (Associazione Nazionale dei Direttori Amministrativi e Finanziari) e Spring (il Cluster Tecnologico Nazionale della Chimica Verde) - ha presentato i risultati del primo Barometro sulla Gestione e il Finanziamento dell'Innovazione all'interno delle imprese italiane.

Lo studio ha visto la somministrazione da parte di Ayming di un questionario online a cui è stato possibile accedere tra ottobre e dicembre 2017. Il campione di aziende che ha risposto al questionario si concentra maggiormente nel Nord Italia, e nello specifico in Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto; mentre le figure aziendali coinvolte appartengono per il 46% all'area finanza e amministrazione, per il 28% alle aree R&D e Innovazione e per il 14% alla direzione generale. I settori industriali sono rappresentati in modo equilibrato, con una leggera predominanza dei settori manifatturiero (16% del totale), chimico/farmaceutico (13%) e agri-food (11%). La dimensione delle aziende, in termini di fatturato e di dipendenti, vede una maggioranza di PMI, il 65% del totale, e il 35% di grandi imprese.
Entrando nel merito dei risultati del Barometro il primo dato rilevato riguarda le aree di innovazione su cui le imprese si concentrano maggiormente: il 79% dei rispondenti si focalizza su innovazione di prodotti/servizi, il 58% su processi/procedure e solo il 29% indica di innovare a livello organizzativo.

Un dato interessante è emerso rispetto alla percezione che i partecipanti al sondaggio hanno del sistema economico del Paese. Nonostante questa sia infatti negativa, i partecipanti ritengono che la competitività delle imprese per le quali lavorano sia complessivamente molto buona. Le risposte raccolte evidenziano un forte status quo bias, per esempio, il sistema economico e la sua competitività sono dati dagli attori del sistema stesso (e.g. le aziende) e, se questi sono competitivi, in linea di massima dovrebbe esserlo anche la percezione del sistema generale.
Degno di nota anche il confronto tra il livello di innovazione e l'importanza data all'innovazione all'interno delle aziende. Per il 60% dei partecipanti l'innovazione è una priorità e per il 35% è comunque un elemento molto importante. Tuttavia, l'importanza data all'innovazione si riflette solo parzialmente sul livello percepito e i risultati raggiunti. Infatti, il 79% dei partecipanti all'indagine ritiene che il livello d'innovazione sia compreso tra buono e molto buono. Di questi solo il 12% lo valuta come molto buono. Da dove emerge questo gap tra importanza e livello percepito dell'innovazione? Si possono effettuare diverse ipotesi, come ad esempio le criticità culturali e strutturali del nostro Paese. Inoltre, l'innovazione sottende una naturale componente di rischio, che rappresenta il DNA di qualsiasi attività di esplorazione. Non solo. Per fare innovazione di qualità sono necessarie competenze di alto livello, che normalmente sono possedute da soggetti che hanno completato dei percorsi di alta formazione (e.g. PhD). Se però si analizza il contesto italiano, si evince la drammatica "assenza" di questi profili all'interno delle aziende, nonostante il livello di occupazione complessivo sia molto alto, circa il 90% (Istat art. Adapt e AlmaLaurea 2015). Questo dato non deve tuttavia trarre in inganno; se si scava più a fondo, si può notare che circa il 44% è relativo a contratti a termine, principalmente all'interno del mondo accademico. Tale situazione genera un'emorragia di risorse, la c.d. "fuga dei cervelli", fenomeno che interessa circa il 13% dei nostri PhD (PhD e Lavoro, Bollettino Adapt 2015).
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