Il mercato azionario gode invece di altre spinte e altri catalyst. Abbiamo una crescita economica che a livello globale si aggira comunque al 3%. Le stime degli earnings sono (almeno a livello USA) di una crescita tra il 7% e l'8%; in Europa un po' meno (tra il 5% e il 6%) causa l'apprezzamento dell'euro rispetto alla fine del 2017. E' quindi un mix sicuramente più favorevole al mercato azionario rispetto all'obbligazionario per i prossimi trimestri.
Due sono le vere incognite: la prima è che se la crescita economica è nella fase finale del ciclo, quanti trimestri potrà avere ancora di espansione. La seconda è chiaramente la guerra commerciale cominciata dall'amministrazione Trump: questa rappresenta una spada di Damocle per la crescita economica e per i listini azionari. Lo stesso pericolo che rappresenta la fine delle politiche monetarie espansive ("tightening") per i listini obbligazionari.
Il mercato obbligazionario torna a farsi interessante anche in Europa. Cosa potrà accadere con la fine del QE?
Negli ultimi due anni la BCE è stata il principale acquirente dei titoli governativi e uno dei principali dei titoli corporate. Ha rappresentato un fattore fondamentale, ha portato anche uno schiacciamento, aldilà dei "fair value", dei prezzi delle obbligazioni, per cui la vera domanda è: chi si sostituirà alla banca centrale? Chi sarà l'acquirente marginale di questi titoli?
E' verosimile che la fase della discesa dei tassi sia finita. Dopo il picco negativo dell'estate 2016, ormai la traiettoria è in fase sicuramente ascendente. Con quale passo e a quali target si arriverà, dipende sostanzialmente da due variabili: le modalità di uscita da parte della BCE e l'inflazione (quindi la crescita economica). Se dovessimo assistere ad una stabilizzazione del ciclo economico, ad un raffreddamento delle tensioni geopolitiche in Italia, e i dati dell'inflazione che convergano verso il target del 2%, è verosimile che i rendimenti della curva tedesca e anche quelli delle obbligazioni societarie (che sono comunque collegati) non genereranno performance da qui ai prossimi trimestri.
Degli acquisti di obbligazioni corporate da parte della BCE ne hanno beneficiato in misura maggiore le imprese di Francia e Germania. Cosa accadrà dopo il tapering?
E' paradossale che a causa della riduzione dei tassi a livello globale e, soprattutto, per gli acquisti da parte della BCE, si sia assistito per la prima volta a società che emettevano bond corporate a tasso zero. E' paradossale perché un conto è prestare i soldi ad un titolo governativo, che comunque è un risk-free, ma una società, anche se non dovessimo fattorizzare il rischio di credito, ha sempre un rischio operativo. Ricordo perfettamente tre anni fa un'obbligazione dell'EDF che uscì a zero. Si tratta di un'azienda con impianti nucleari: basterebbe - facciamo pure gli scongiuri - che una centrale avesse seri problemi e non credo proprio che il tasso dell'obbligazione resti fermo a zero.
E' un qualcosa che sicuramente si normalizzerà e coloro che hanno più beneficiato degli acquisti della BCE, sia a livello governativo sia corporate, saranno i primi a dover ridare indietro il premio guadagnato con il QE. A livello governativo sarà in primis la curva dei bund, le cui valutazioni sono state drammaticamente schiacciate e distorte dagli acquisti della BCE. E poi i titoli corporate francesi e tedeschi. E' quindi verosimile una normalizzazione del corso dei prezzi nel corso dei prossimi trimestri. Si restituisce ciò che si è ottenuto.
I Tbond Usa stanno avendo un andamento interessante nell'ultimo periodo. Che andamento prevede per quest'anno?
Sicuramente quando abbiamo iniziato l'anno al 2,2% il Treasury non era correttamente prezzato. Era più che plausibile un aggiustamento verso un'area del 2,8%-3%. Siamo arrivati adesso ad una soglia chiave, non solo psicologia o tecnica, ma proprio legata ai fondamentali. Per il Treasury decennale il 3% è il livello finale ("terminal rate") previsto dalla FED, che lo vede alla fine del rialzo dei cicli dei tassi. Generalmente, alla fase finale del ciclo economico e alla fase finale del ciclo dei tassi, la curva appare completamente schiacciata. Quindi, se non dovessero esserci ulteriori pressioni inflazionistiche e la FED alla fine del 2019 avrà fatto il lavoro correttamente, i Fed Funds dovrebbero essere intorno al 2,75%-3%, e dovrebbe essere plausibile un'area del 3% per il Treasury. In questo momento, a queste quotazioni rappresenta più un'occasione che una minaccia per i prossimi trimestri.
Inoltre, occorre dire che anche in un'ottica di flusso cedolare e di redditività, avere il Treasury - risk-free asset, zero liquidity risk, no credit risk - al 3% è un investimento che va valutato, soprattutto se lo confrontiamo con il resto del mondo. Basti pensare allo 0,50% del Bund, ai tassi giapponesi ancora schiacciati allo zero, o alle obbligazioni governative europee che ancora sono ancora negative per una discreta parte: in una logica di asset allocation globale, è un investimento da considerare.
Il rialzo del dollaro ha creato qualche problema nei Paesi emergenti. Cosa potrà accadere se dovesse perdurare?
Quando parliamo di Emergenti, teniamo conto di diverse variabili. La prima è sicuramente il dollaro. Un dollaro più forte è sicuramente causa di un restringimento monetario e non favorisce assolutamente questi Paesi. Non va dimenticato che molti di questi hanno un debito denominato in dollari, e nel momento in cui devono ripagare un dollaro più alto crea un problema di matching liabilities (corrispondenza delle passività) notevole.
La seconda è sicuramente il Treasury. Nel momento in cui questo titolo al 3% è un investimento attrattivo, molti flussi internazionali se convergono sugli asset americani sono in uscita da quelli Emergenti. Questo è esattamente l'opposto di ciò che è accaduto negli ultimi anni dove i bassi tassi del mondo occidentale portavano i capitali verso i Paesi emergenti, dove c'era comunque un pickup di rendimento sicuramente interessante.
Il terzo punto da osservare sono chiaramente le commodities. Queste sono su un trend rialzista, sia sulla parte Agricultures sia Metals e chiaramente l'Oil.
Quarta variabile è l'elemento geopolitico. Questo ha rappresentato un problema non indifferente nel primo semestre del 2018. Al di là dell'Argentina o la Turchia, ci sono stati recenti problemi in Brasile, il Messico si affaccia alle nuove elezioni, e questi sono elementi da valutare. Chiaramente va osservato il differenziale tra tassi occidentali e tassi degli Emergenti: più questo si riduce e più è penalizzante. Ritengo piuttosto verosimile che la traiettoria dei tassi sia comunque in fase ascendente, e al momento vedo più elementi di preoccupazione sui mercati emergenti rispetto a qualche anno fa.
Infine, non dobbiamo dimenticare che oggi i mercati finanziari sono dominati molto dal "positioning", sul flusso. Spesso si guidano le asset allocation non in funzione dei rendimenti attesi, ma si guarda dov'è il "positioning". Una trade può anche esser considerata attrattiva, ma se c'è una "positioning crowded", cioè una posizione affollata (su cui sono presenti già tanti investitori), la porta per uscire è sempre stretta e il primo esce, mentre gli altri hanno difficoltà.
Quindi, grande attenzione ai Paesi emergenti, proprio perché il "positioning" negli ultimi anni si è accumulato ed è probabilmente eccessivo. Questo l'abbiamo visto nei mesi scorsi dove, causa dollaro e rialzo dei treasury, si è assistito a parecchie docce fredde per gli Emergenti e non credo si assisterà ad una stabilizzazione nei prossimi mesi.
Se l'articolo ti è piaciuto, condividilo con gli amici e colleghi