Quando tutto questo accadeva, mi trovavo proprio in Cina a fare un sopralluogo dei nostri uffici in quel Paese.
Il mio collega Bin Yu, Head of China Equities, si è mostrato ottimista, facendo notare che dal 2012 le esportazioni incidono in modo molto modesto sul PIL cinese.
L'anno scorso, per esempio, hanno contribuito per un misero 0,6%.
Secondo i dati forniti dalla China International Capital Corporation (CICC), il fatturato delle società cinesi esposto direttamente agli Stati Uniti è pari ad appena il 5%.
Secondo Yu, se si escludono ambiti specifici, come la catena logistica di Apple, le azioni cinesi difficilmente subiranno un impatto apprezzabile.
Vale la pena notare che di recente le flessioni dello Shanghai Composite Index sono state inferiori a quelle registrate dai mercati azionati statunitensi, europei e giapponesi.
È anche possibile che il confronto in atto non sia altro che una versione più chiassosa e pubblica del consueto "do ut des" che da sempre caratterizza i rapporti economici tra Cina e Stati Uniti.
Due importanti decision-maker dell'economia cinese, il vice premier Liu He (che ha studiato ad Harvard) e il vicepresidente Wang Qishan, sembrano affrontare la situazione con spirito pragmatico e globale.
Entrambe queste figure sono ben note in Occidente e vantano una considerevole esperienza sulla ribalta mondiale.
Li Keqiang, il premier in carica, aveva in qualche modo anticipato l'annuncio di Trump quando durante l'Assemblea nazionale del popolo aveva dichiarato che "in una guerra commerciale non ci sono vincitori".
La Banca Popolare Cinese ha inoltre annunciato un'accelerazione delle riforme del sistema finanziario e sul fronte delle liberalizzazioni.
Verso la metà della settimana scorsa, i funzionari statunitensi hanno moderato i toni della guerra commerciale e iniziato a lavorare in direzione di un accordo per evitare l'imposizione di dazi.
Sulla scia della copertura mediatica e dei discorsi sulle guerre commerciali, gli Stati Uniti e la Corea del Sud hanno di fatto sancito una revisione del proprio accordo bilaterale in materia di scambi.
Un tema prevalente sui mercati
Anche se tutto andrà come previsto, difficilmente le tensioni commerciali si allenteranno, nel breve termine.
Il pragmatismo della Cina non è affatto scontato.
Inoltre, tra Stati Uniti e Messico sono in corso negoziati per apportare modifiche al NAFTA.
A rendere le cose ancor più complicate è l'imminenza delle elezioni presidenziali in Messico, in programma a luglio.
Il candidato al momento più popolare, con il 38% dei consensi secondo gli ultimi sondaggi e un distacco di otto punti percentuali sugli inseguitori, è Andrés Manuel López Obrador.
Obrador è molto più scettico nei confronti del NAFTA rispetto al presidente in carica, Enrique Peña Nieto, e ha minacciato di "rimettere in riga" Donald Trump, con lo slogan "Prima i messicani".
L'apparente incertezza di una considerevole fetta dell'elettorato costituisce un grande punto interrogativo a sud del Rio Grande.
È probabile che nel futuro immediato l'alta marea del nazionalismo economico costituirà un tema prevalente nei mercati.
Mentre in pubblico volano le scintille, dietro le quinte non mancano gli spazi di manovra per il pragmatismo che, con ogni probabilità , prevarrà . Ma non dimentichiamo che quando volano le scintille, a volte ci si scotta.
Joseph V.
Amato, President and Chief Investment Officer-Equities
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