L'innovazione tecnologica deve alimentare le innovazioni sociali
Le Menestrel (La Financière de l'Echiquier): è necessario saper utilizzare e padroneggiare gli strumenti che si hanno a disposizione. La conoscenza è un asset di partenza che, alla pari del reddito, deve essere universale
Immaginare come sarà la nostra vita tra vent'anni è, nell'era della rivoluzione digitale, un esercizio rischioso.
La trasformazione del mondo, disordinata e frenetica, e la traiettoria vertiginosa che evocavamo qualche tempo fa si confermano giorno dopo giorno e con notizie sempre più folli (conoscete la storia delle criptovalute?) su questo universo di tutti i "possibili" che prende forma sotto i nostri occhi.
L'eccitazione dei rari privilegiati che guidano questo movimento è eguagliata soltanto dalla paura che coglie i più di fronte a questo avvenire così vicino nel tempo ma anche così lontano nel suo funzionamento.

Come reinventare la nostra società in sintonia con questi sconvolgimenti che trasformeranno il nostro modo di lavorare (i robot ci prenderanno il lavoro?), di vivere (sempre più velocemente, sempre più lontano) o anche di pensare (come essere intelligenti domani)?
Una cosa è certa: l'innovazione tecnologica deve poter alimentare le innovazioni sociali, senza le quali non c'è progresso.
Questo vastissimo argomento è da secoli al centro delle riflessioni dei più grandi filosofi, in particolare di tutte le correnti di pensiero sul futuro del capitalismo, il quale, se non si autodistrugge come aveva predetto Marx, deve quantomeno reinventarsi.
Il capitalismo sta vivendo oggi "la più grande mutazione della sua storia" con l'emergere di un "capitalismo per tutti" che dà a ognuno i mezzi per diventare produttore e creare valore.
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