Io dico sempre che "un cookie ci seppellirà", nel senso che abbiamo degli oggetti nascosti che ci seguono in tutto quanto, ci riconoscono.
Quindi, uno strumento nato per seguire gli utenti e comprendere le relazioni tra siti e pagine, è diventato un grande problema di privacy.
Il tema del libro è una polemica che faccio sul comportamento di questi oggetti.
Racconto l'aneddoto che ho inventato una storia nel libro: sono andato con la mia amante in un motel nelle ore d'ufficio e in ufficio non lo sa nessuno, però la mia compagnia telefonica lo sa, Car2Go lo sa, il sito di prenotazione lo sa.
Quindi, lo sanno parecchie persone perché è tutto contenuto nella cache dei browser.
C'è tutto quello che noi vogliamo.
Noi andiamo in vacanza con la famiglia sull'Adriatico, però per un pochino abbiamo sognato i Caraibi e quindi nella cache c'è.
Per non parlare appunto di quelle che possono essere tutte le nostre preferenze sia a livello di prodotti sia a livello di comportamenti.
C'è un grandissimo problema di privacy, ma nello stesso tempo credo, e spero che nel libro questo traspaia, una grandissima opportunità di dati e informazioni da usare.
E' evidente che il filo è molto sottile: da una parte c'è quello che noi concediamo alle marche, dall'altra c'è quello che le marche - grazie a quello che apprendono di noi - sono in grado di darci in cambio.
Le marche, quindi ci sfruttano per la ricerca e sviluppo...
La privacy c'è sempre stata e nel passato, ma era differente.
Oggi si avverte essenzialmente la mancanza di trasparenza da parte delle aziende che non dicono al consumatore che utilizzano questi dati, a non renderlo consapevole.
Se ieri compravo una videocamera o una macchina, oppure un paio di jeans, quel prodotto era mio e quindi tendevo a farci quello che volevo.
Oggi invece, con la tecnologia e soprattutto il software, nasce il problema della privacy: se compri un telefono, per esempio, prima dell'utilizzo si è costretti ad accettare n-mila condizioni.
Questo già automaticamente toglie il concetto di privacy.
Perché non si può rendere più consapevole il proprietario dell'apparecchio di quello che accadrà con le informazioni che vengono raccolte? Non si può trasformare l'uso privato in una sorta di forma di gioco: vuoi attivare i servizi di localizzazione così sai meglio dove sei, ma in realtà serve per fare attività di pubblicità geolocalizzata.
Com'è cambiato il vostro lavoro e come sono cambiati i clienti?
La cosa più difficile credo sia quella di fare sì che il nostro cliente, il suo brand, emerga tra gli oltre cinque mila messaggi di marketing che ogni persona riceve ogni giorno.
Io mi immagino che mediamente possiamo dar retta a 5 o 6 messeggi in totale, quindi abbiamo una possibilità su mille di farci sentire e riconoscere.
Credo sia la cosa più difficile del mondo, ma allo stesso tempo è una sfida molto affascinante.
Una cosa che più volte vediamo nei progetti di comunicazione è vincere la sfida dell'attenzione.
Nel libro parliamo della cosiddetta "era della distrazione".
Siamo tutti costantemente distratti, lo siamo anche tra di noi, anche a cena con la fidanzata.
Ormai siamo tutti con davanti un piccolo schermo o un grande schermo.
Lo smartphone era considerato il second screen, ma ritengo che anche davanti alla TV, di fatto, noi guardiamo il telefono e sottofondo è la tv.
C'è stata una grandissima manager di un centro media di New York che lo scorso anno ha dichiarato che le serie TV vengono realizzate in modo che la sparatoria o la scena di inseguimento siano poco prima dello stacco pubblicitario.
Infatti, sono l'unico momento in cui le persone, data la confusione e l'azione, alzano la testa dal loro telefono.
E come fanno i brand a vincere questa sfida?
Le marche possono realmente vincere la sfida della distrazione lavorando sulla parte dei dati che vengono utilizzati oggi.
Raccogliamo dati di qualsiasi cosa, in tutte le forme, le aziende devono riuscire a trarre profitto se porranno attenzione.
Solo che i dati sono veramente tanti.
Fino a ieri i dati erano confinati all'interno dei centri di ricerca e delle università tecnologiche, si investiva molto e c'era una gara per la creazione di super computer.
Poi è arrivata la tecnologia sul cloud e la capacità di ottenere questo super computer è diventata semplice e alla portata di tutti.
Prima solo le grandi aziende avevano i mezzi per rielaborare i dati, oggi anche una piccola PMI ha la stessa disponibilità di una multinazionale, almeno sulla carta.
Ma anche un consumatore oggi, attraverso lo smartphone, riesce ad avere una capacità di calcolo superiore a quello che era di un supercomputer degli anni 90.
Le aziende hanno a disposizione degli strumenti che permettono di avere degli insight e poter leggere cosa avviene sul mercato in tempo reale.
Il rischio è di venire sommersi dalle informazioni e molto spesso il 90% di queste non portano alcun beneficio all'azienda.
Ma le informazioni utili migliorano il business, e si può migliorare anche il modo di lavorare delle persone, grazie al fatto che ci sono ottimi collegamenti in fibra che consentono di lavorare in remoto o da casa.
Senza problemi di produttività.
Tre motivi per leggere il vostro libro People are media?
Il primo motivo è che prima di mandare scriverlo abbiamo fatto un po' di screening ed effettivamente alcuni dei temi non erano mai stati affrontati secondo quest'ottica, che è sempre a favore della digitalizzazione, in favore del digitale.
Credo che il digitale sia un'enorme opportunità e la stiamo cogliendo tutti quanti. E' giusto pensare di limitarlo, ma ormai non se ne può più fare a meno.
Sono tanti i punti negativi della tecnologia, però bisogna sempre conoscerla per poterne cavalcare l'onda.
Il secondo motivo è che è scritto veramente in maniera semplice e non è per addetti ai lavori.
E' stato interamente ideato per una lettura di massa e non persone che conoscono la tecnologia e i suoi aspetti.
Il terzo motivo non è banale.
Anche se è noi non facciamo gli scrittori, siamo persone che fanno questo mestiere da sempre, da quando esiste l'opportunità di farlo, e siamo innamorati di questo lavoro.
Abbiamo voluto trasmettere il nostro innamoramento e non c'è una finalità tanto divulgativa quanto pochino più di legame al business.
La voglia soprattutto di fare il punto della situazione.
Che non siamo degli scrittori lo dimostra anche il fatto che abbiamo deciso di devolvere gli incassi in beneficenza.
L'abbiamo fatto per passione.
Gli Autori
Aldo Agostinelli ha maturato una lunga esperienza nelle direzioni marketing e digitali di molte aziende italiane e internazionali: Hewlett Packard, H3G, TIM, Ericsson e INA Assitalia.
In Sky Italia dal 2013, è stato nominato nel 2016 Digital Officer.
Aldo ricopre anche la carica di vicepresidente dell'associazione IAB Italia.
Silvio Meazza nasce come software designer e IT Manager.
Nella comunicazione dal 1998.
Tra il 2000 e il 2009 ha gestito 4 agenzie digitali all'interno di quasi tutti i principali Gruppi di comunicazione, lavorando per clienti e brand quali Renault, BMW, Fiat, Seat, Deutsche Bank, Intesa San Paolo, Unicredit, Mars, P&G, Ferrero, Sky, Telecom Italia, Fastweb.
Nel 2010 ha fondato, insieme a 4 soci, M&C SAATCHI Milano.
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