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Editoriale
I minijobs non hanno votato Merkel
Dovevano essere le elezioni più scontate. Quelle che arrivavano dopo aver disinnescato i potenziali rischi politici delle consultazioni in Olanda e, soprattutto, in Francia. E invece in Germania non è andata come sperato da Merkel e Bruxelles. Non tanto per l'avanzata di AfD, da tempo pronosticata, quanto per le pesanti perdite di CDU-CSU e SPD: rappresentavano circa l'80% del Bundestag, e ora arrivano a malapena al 50%. Oltre 1 tedesco su 5 ha dato la propria preferenza a un partito di estrema destra o di estrema sinistra. E non sono state solo istanze xenofobe o razziste a causare l'emorragia di voti dei partiti di governo. Adesso nel Paese con le maggiori disuguaglianze economiche in tutta Europa, si apre una fase nuova che dovrà per forza aprire gli occhi sulla realtà. Attualmente in Germania si è toccata la soglia dei 7,8 milioni gli occupati in minijobs a 450 euro mensili, soggetti senza copertura sociale perché nessuno versa contributi per loro. Gran parte di loro sono donne in part time (che fanno sempre meno figli). Per gli imprenditori, a parità di ore lavorate, è infinitamente più conveniente assumere 2 minijobs invece di un lavoratore a tempo pieno, specialmente nell'ex Germania Est, dove la situazione è da tempo drammatica. I pensionati in povertà sono inoltre poco meno del 20%. Se poi teniamo conto che sul territorio la spesa per ammodernamento per infrastrutture - ormai fatiscenti - è praticamente a zero da anni, è chiaro che prima o poi la popolazione esprime dissenso. Col voto. Dei benefici derivati dalla grande finanza o dell'abnorme surplus commerciale, in tasca non arriva un euro.
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