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22/06/2016

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Angelini (comScore): i nostri dati valutano l'efficacia della pubblicita' online

Misurazione dell'audience e misurazione dell'advertising integrati in sistemi innovativi per risultati sempre più vicini alla realtà. Lo chiedono gli editori e le aziende, per campagne più performanti e superare il problema ad-block 

I cambiamenti del web in termini di analisi e misurazione dei dati, le difficoltà del mondo Adv, le esigenze dei media, delle aziende, il fattore ad-block, fino agli Instant Articles e AMP di Google. Ne abbiamo parlato con Fabrizio Angelini, CEO di Sensemakers e rappresentate di comScore per l'Italia

Chi è comScore?

comScore è uno degli operatori leader a livello internazionale nella misurazione del mondo internet. Opera ormai da circa 18 anni e siamo focalizzati su due aree di business: quella storica che ci ha contraddistinto e per cui siamo conosciuti, ossia la misurazione delle audience digitali, e una più recente che è la misurazione dell'efficacia della pubblicità.
Combiniamo questi due ambiti con un sistema di misurazione che copre molta parte del web. La misurazione dell'audience spesso è disconnessa dalla misurazione dell'advertising, mentre noi abbiamo sistemi che integrano in maniera molto puntuale i due ambiti.
Siamo operativi in 172 Paesi e ne misuriamo 43 su base mensile, siamo il dato riconosciuto come currency di riferimento del mercato sia negli USA sia in UK, che sono i due mercati più sofisticati ed evoluti per lo sviluppo online, ma siamo anche la currency di riferimento in Olanda e Spagna per quello che riguarda il resto d'Europa.

Questo è un valore aggiunto importante anche per le PMI italiane e per lo sviluppo della cultura digitale italiana perché avere la possibilità di confrontarsi e avere dei benchmark con mercati internazionali. E' certamente un fattore differenziante che solo comScore può offrire grazie alle nostre tecnologie e al nostro campionamento sono gli stessi in ogni parte del mondo. Il nostro dato italiano è perfettamente confrontabile con un dato cinese, indiano o statunitense.

Quali cambamenti sta vivendo il web in termini di analisi e misurazione dei dati?

E' un cambiamento epocale. Si fa un gran parlare di big data a livello internazionale, ma in termini di misurazione noi ci siamo già dentro. Si passa da misurazioni più tradizionali che erano tendenzialmente incentrate sui panel, a misurazioni invece su dati che chiamiamo censuali, ossia il dato visto direttamente sulle macchine attraverso dei misuratori che vengono installati sui computer. Il panel è sempre stato considerato dei ricercatori per la misurazione efficace: ecco oggi abbiamo milioni di panel che ci posizionano in maniera importante.

Dal 2009 ci siamo resi conto che la complessità della rilevazione era tale per cui, il panel non sembrava più sufficiente e ci siamo dedicati di piu ai dati censuali. oggi gestiamo qualcosa come 1.8 trilioni di interazioni digitali al mese e la quota che deriva dal panel è circa 1.5%. La massa di dati che gestiamo è tendenzialmente una massa di dati certi. Oggi intercettiamo circa il 94% dei device connessi ad internet in Italia e la misurazione sta cambiando in maniera radicale perché i dati sono sempre più precisi. Dati flessibili in termini di architetture e rielaborazione, cosa che fino a qualche mese fa era impensabile. Le nostre architetture di prodotto sono molto legate all'utilizzo del dato censuario e all'approccio collaborativo con la filiera. Noi facciamo rilevazioni per gli editori o con piattaforme tecnologiche per arrivare a creare un ecosistema basato sul dato o su sistema di condivisione dello stesso.

Qual è il vostro target principale?

Oggi noi vendiamo nel mondo, così come in Italia, a tutti gli operatori del mondo media, dai centri media ai grandi editori, grandi investitori pubblicitari, ma tendenzialmente vendiamo a tantissimi brand perché sono interessati a capire come si sta muovendo il mercato digitale.


Noi facciamo anche molte analisi, per esempio sul mondo dell'eCommerce e siamo in grado di andare a misurare quali sono gli interessi della propria audience per fare attività di cobranding o brand extension. Noi nasciamo con una matrice più legata al mondo dell'editoria e dei media e dell'investimento pubblicitario, ma poi lo sviluppiamo su tutte le declinazioni delle applicazioni del dato nel mondo digital. Siamo un po' meno presenti, e questo fa riflettere, nella Pubblica Amministrazione in Italia, mentre all'estero i clienti in questo ambito sono tantissimi.

Cosa vogliono le aziende?

Le aziende un pochino più innovative hanno capito il potenziale del digitale, che possono sfruttarne i dati e li comprano, ma desiderano qualcosa di già elaborato, quindi chiedono un supporto per lo sviluppo per le strategie di marketing digitali. Aziende più grandi invece vogliono i dati e all'interno hanno strutture che sviluppano direttamente le analisi. Nel mondo della comunicazione e dei media, l'intermediazione per un centro media o un'agenzia creativa ha bisogno di un filtro tra comScore e il cliente finale, quindi le elaborazioni vengono compiute per conto del cliente.





Arriviamo al problema dell'ad-blocking: come lo affrontate?

Mi viene da domandarmi se sia vero panico, perché le ultime misurazioni lo definiscono come un problema importante ma non è così così devastante. Ci sono grandi differenze di penetrazione dell'ad-blocking da Paese a Paese: per dare un esempio in Germania e Francia sono intorno al 30%, in Italia meno della metà, al 13%. Tutto sommato non vediamo un fenomeno di crescita esplosiva, bisognerebbe interrogarsi sulle logiche di politiche industriali che sono dietro all'ad-blocking, perché grandi operatori che fanno comunque una buona parte dei lori ricavi con l'adv consentono comunque l'installazione di ad-blocker. Il tema è correllato con uno dei nostri cavalli di battaglia che abbiamo sempre cercato di enfatizzare, ossia l'efficacia o l'intrusività della pubblicità online. Chiunque abia un'esperienza di consumo online sa che per leggere un contenuto deve fare uno slalom tra formati display e video perché c'è un'invasività eccessiva del contenuto pubblicitario per cui l'ad-blocking non è altro che una difesa verso questa invasione.


L'efficacia della pubblicità ne risente. Se non si riporta il sistema su un migliore equilibrio e l'esperienza di fruizione del cliente che naviga sia allineata alle aspettative diventa sicuramente un problema. Non vedo ancora una reazione strutturata degli editori, questo potrebbe derivare da un vecchio modo di intendere le misurazioni. Infatti, prima tutti gli investimenti pubblicitari venivano da quella che noi chiamiamo "analisi pre", cioè si tendeva a dire che ho un bazzilione di utenti unici e quindi siccome l'ad-blocker va ad impattare sulla dimensione della propria audience e dichiarare che si ha il 30% di utenza bloccata sarebbe un problema per la monetizzazione. Oggi le logiche sono radicalmente cambiate, per cui non basta andare a dire cosa si è in grado di fare in fase di preanalisi, ma con misurazioni molto puntuali su quanti utenti si sono realmente raggiunti, che noi chiamiamo "post valutazione". C'è un disallinemento tra di numeri dichiarati in pre e i numeri dichiarati in post perché l'ad-block impedisce che la pubblicità sia erogata e quindi non viene conteggiato quel tipo di esposizione nella fase post.


Considerate che questo non comporta una dispersione dell'investimento, perché chi investe non paga una mancata erogazione, poiché quel banner o video non è stato erogato e quindi non viene pagato.

C'è un problema di visibilità?

Sulla viewbility vanno fatte certe considerazioni. Se oggi si mette un banner o un video un video in terzo scroll o in posizioni non visibili, quel banner viene pagate. Considerate che più di una display advertising su due non viene visualizzata, abbiamo una dispersione netta dell'investimento della pubblicità online che è del 50%. Noi siamo stati i primi a parlarne in Italia nel 2012, il mercato si è evoluto e sta capendo l'importanza di queste metriche e oggi è abbastanza diffusa l'abitudine di pagare solo ciò che è stato realmente visto.

Pagine affollate di pubblicità perché poco remunerativa?

Oggi non c'è scarsità di inventory sul mondo display, c'è scarsità di inventory nel mondo video, ossia ci sono più richieste di video rispetto all'offerta, ma l'idea di inserire molte più inserzioni per monetizzare è tendenzialemente sbagliata, perché le attuali misurazioni ti fanno capire che spesso e volentieri più ce n'è e meno viene vista e più chi naviga è incentivato ad installare un ad-blocker e quindi non necessariamente tanta pubblicità significa tanta moneitzzazione.


E' un vecchio modo per concepire la monetizzazione, con un impatto su tutta la filiera non indifferente. Oggi se navigo su un sito che mi piace disinstallo l'ad-blocker, perché una volta installato lo uso per tutti i siti. Chi ha bassa qualità fa danni per tutti e bisognerebbe stare attenti che tutti rispettino dei requisiti minimi di qualità e di efficacia dei messaggi pubblicitari.

Chi installa ad-blocking?

Le ricerche ormai ci dicono che si tratta di persone sofisticate, con conoscenze tecnologiche, con un reddito medio-alto, tendenzialmente heavy user di contenuti online e rappresentano, e lo dico a malincuore, quel target più pregiato che si va a cercare online. Non è solo un tema di quantità, ma anche di qualità delle persone che lo hanno installato.

Instant Articles e AMP di Google, cosa sta succedendo?

E' un bel tema, mi farò qualche amico. Instant Article di Facebook e Google AMP rispecchiano un fenomeno molto forte che stiamo vedendo negli ultimi mesi, ossia lo spostamento della fruizione di internet dal desktop a device mobili, con un problema di concentrazione del mercato che secondo me è stato molto sottovalutato.


Considerate che oggi, dipende da Paese a Paese, ma possiamo dire che il 65-70% del traffico totale online è un traffico mobile, ma l'80% di questo è traffico in app e di questo 80%, il 50% è consumato sulla prima App di utilizzo, il 75% sulle prime tre App di utilizzo. Cosa sta succedendo? Il traffico si sta spostando su mobile, ma si sta concentrando in maniera mai vista in passato su pochissimi operatori e quindi stanno cambiando le modalità di navogazione e stanno cambiando i refferral, ossia i siti da cui in qualche modo gli editori ottengono il traffico. E' sempre più diffuso il fatto che si arrivi su un sito di un editore da un'App di Facebook o da Google. Noi siamo in grado di misurare l'in-house-traffic, quindi quando mettiamo un link su una di queste applicazioni possiamo verificare da dove arrivano. Google e Facebook hanno avuto la brillante idea di far mettere i contenuti sui propri siti per avere maggiore velocità e i clienti sono più contenti. Questo sta avvenendo, e l'esperienza di fruizione è molto positiva. Credo che ci sia un punto interrogativo molto forte da porre agli editori in relazioni alla monetizzazione e l'equilibrio tra chi crea il contenuto e chi lo distribuisce e chi è padrone dell'audience.


Nel momento in cui un network assume una posizione così forte sulle strategia di monetizzazione cambiano in maniera drastica anche i rapporti di forza. Ho la sensazione che prevalgano spesso logiche di breve termine e si cerca di monetizzare tutto e subito e quindi si svilupperanno. Oggi in Italia l'80% degli investimenti mobile in temini pubblicitari, non lo dico io ma il Politecnico di Milano, vanno a Google e Facebook.


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