Come sarebbe il mondo senza quantitative easing?
Le Menestrel (La Financière de l'Echiquier): i QE delle banche centrali hanno di fatto favorito i mercati azionari e l'impatto sull'inflazione è stato il contrario di quanto ci si aspettava
Il Quantitative Easing (QE) ha assunto un ruolo preponderante nella quotidianità e nella vita dei mercati: non passa giorno senza che se ne commentino le conseguenze positive o negative, anche se il meccanismo è stato utilizzato su ampia scala dalle Banche centrali solo a partire dal 2008.
Gli effetti del QE sono disomogenei: la strategia monetaria del Giappone ha probabilmente raggiunto i suoi limiti e la BoJ sembra per ora aver accantonato la tentazione del "sempre di più".

La fleboclisi finanziaria della BCE sorregge l'economia europea: il paziente non peggiora ma la guarigione è lenta.
Quanto alla Fed, Janet Yellen, lanciata in un delicato esercizio da trapezista, sussurra ai mercati che, se le condizioni lo permetteranno, i tassi statunitensi dovranno per forza di cose normalizzarsi?
Se si osservano le tre macroaree che hanno testato le politiche accomodanti, la prima evidenza non fa che portare acqua al mulino dei loro detrattori: in Giappone, in Europa e negli Stati Uniti, queste strategie innovative sono riuscite a espandere la massa monetaria, ma la velocità di circolazione della moneta si è talmente ridotta - contro ogni aspettativa - che l'impatto sui prezzi è stato il contrario di quanto ci si aspettava.
Invece, se si studiano le valorizzazioni delle società americane, appare che il Dow Jones e lo Standard and Poor's hanno tratto decisamente vantaggio dall'abbondante liquidità.