A qualche mese dall'entrata in vigore del Jobs act, si può tentare un primo bilancio? Era quello che serviva per combattere la disoccupazione?
Il Jobs Act è una riforma strutturale del mercato del lavoro: per misurarne gli impatti occorrono almeno 3-5 anni di tempo.
E, come dicevo prima, la disoccupazione si combatte con una robusta crescita economica, con una miglior formazione del capitale umano e creando l'infrastruttura dei servizi al lavoro, che rendano attuabili le politiche attive del lavoro.
Certamente possiamo già fare un primo bilancio, parziale, che è positivo.
Aumentano i contratti a tempo indeterminato, si riducono fortemente i contratti precarizzanti, come i co.co.pro e la flessibilità diventa più tutelata con il lavoro tramite agenzia (contratto di somministrazione).
Si parla molto di disoccupazione giovanile, ma la fascia di età che sembra più colpita dalla crisi sembra essere quella degli over 50.
Lei vede una qualche soluzione al problema?
In realtà non è così: i dati Istat dimostrano che il tasso di occupazione migliora nella fascia over 50 e si riduce nelle fasce di età inferiore, a seguito anche della riforma pensionistica Monti-Fornero, che ha allungato l'età lavorativa.
Certamente il problema è che coloro che perdono il lavoro in quella fascia di età hanno più difficoltà a reinserirsi.
Nel medio periodo la risposta a questo problema sta nell'implementazione delle politiche attive del lavoro, imperniate sul servizio di supporto alla ricollocazione.
In Regione Lombardia questo servizio è stato predisposto da anni, con la Dote Unica Lavoro, ed i risultati conseguiti sono eccellenti.
In pratica, chi perde il lavoro può rivolgersi a sua scelta ad un operatore accreditato ai servizi al lavoro, pubblico o privato che sia, e farsi attivare un voucher regionale con cui remunerare i servizi di assistenza specialistica alla ricollocazione (bilancio di competenze, redazione cv, scouting offerte di lavoro, invio candidature, simulazione colloqui, assistenza alla stipula del nuovo contratto, etc..).
Servizi che la Regione remunera all'operatore che ha preso in carico il lavoratore, in quota parte minima a processo, sulla base delle ore di servizo erogate, e per la quota parte maggioritaria "a successo", ad inserimento lavorativo avvenuto.
Per l'emergenza di brevissimo periodo penso che la soluzione cui sta pensando il Governo circa l'accesso flessibile alla pensione, decurtando il valore dell'assegno mensile in proporzione al numero di anni di anticipo sull'età cui si avrebbe diritto, sia quella giusta.
Il numero dei manager licenziati negli ultimi anni è impressionante.
Quali strategie devono mettere in atto per trovare un altro lavoro? Avete nel vostro Gruppo delle soluzioni per il loro ricollocamento?
In caso di licenziamento i manager devono convincersi a negoziare con il datore di lavoro il servizio di outplacement, rinunciando in parte alla buonuscita.
Intoo, la società di Gi Group specializzata in questo servizio, ricolloca mediamente in 6 mesi l'85% dei Manager a loro affidati.
E i vantaggi di tale supporto valgono naturalmente anche per le altre categorie di lavoratori per i quali è importante il supporto dei sindacati a livello di accordi aziendali.
In un mercato del lavoro come l'attuale è fondamentale ridurre il più possibile i tempi di permanenza fuori dal mercato e il conseguente rischio di marginalizzazione.
Questi risultati sono possibili perché i professionisti della ricollocazione si occupano di prendere in carico la persona disoccupata e di supportarla con un percorso presonalizzato, in modo che focalizzino tempo e risorse a cercare un nuovo lavoro, senza disperdere energie o abbattersi psicologicamente.
L'outplacement obbligatorio per chi licenzia è economicamente sostenibile?
Si, non vedo ostacoli.
Come dicevo prima, dovrebbe diventare condiviso tra azienda e lavoratore che una parte della buonuscita sia investita in questo servizio, che, insieme alla formazione, è l'articolo 18 dei tempi moderni.
La Germania con la riforma Hartz ha dato vita, tra l'altro, ai mini-jobs, che adesso sono oltre 6 milioni.
La compressione dei salari sarà il futuro anche del lavoratore italiano?
Più compressi ancora, in Italia, mi auguro di no.
Noi dobbiamo alzare i salari, semmai.
Anche per far ripartire il mercato interno.
Spostamento della produzione sulle fasce "premium", minor rigidità della regolamentazione del lavoro, come fatto con il Jobs Act, e passaggio della contrattazione collettiva da nazionale ad aziendale e territoriale, per scambiare incrementi della produttività con maggiori salari, taglio delle tasse su imprese e persone, riduzione del cuneo contributivo: questa l'agenda da perseguire con decisione.
Così avremo maggior crescita economica, più persone al lavoro, salari più altri, maggiori consumi interni e stabilizzeremo l'economia, rendendola meno dipendente dal solo export.
Cosa si aspetta e si auspica dagli ultimi 4 decreti che completano la riforma?
Mi aspetto che il disegno riformatore all'insegna della flexicurity, iniziato con il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, si completi della parte mancante, vale a dire la riforma degli ammortizzatori sociali, ridotti nella loro durata massima di utilizzabilità ed estesi a tutte le tipologie di aziende.
Mi auguro, inoltre, l'introduzione delle politiche attive del lavoro, con il previsto assegno di ricollocazione riconosciuto a tutti coloro che perdono il lavoro, spendibile sia con gli operatori privati, sia con quelli pubblici.
Per esportare la best practice della Lombardia nel resto d'Italia.
Se l'articolo ti è piaciuto, condividilo con gli amici e colleghi