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01/04/2015

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Riccardo Silva: siamo il distributore globale dei diritti sportivi

Il presidente e fondatore di MP & Silva svela la sua filosofia di business. Nel futuro anche sponsoring e produzione per diversificare 

 

MP & Silva è una realtà globale e dinamica con cuore italiano, che distribuisce diritti media in tutto il mondo. Ne abbiamo parlato con Riccardo Silva, fondatore di MP & Silva insieme ad Andrea Radrizzani e Carlo Pozzali. Distribuire contenuti in tutto il mondo: un lavoro molto particolare e ultraspecializzato.

Attualmente abbiamo 62 diritti sportivi, la maggior parte leghe, alcune federazioni e alcune squadre, come l'Arsenal. Acquistiamo da tutto il mondo e vendiamo in tutto il mondo. Di solito, quando acquisiamo, lo facciamo a livello globale escluso il diritto domestico, che poi è quello che vale di più ma che è anche il più semplice da vendere. Più complicato vendere in 200 Paesi, nazione per nazione, Si tratta di un'attività operativamente più difficile ed è quello in cui siamo specializzati. Siamo un distributore globale di diritti, ma capita anche che alcuni diritti li acquisiamo per specifiche aree, come la NFL che venderemo fino al 2020 in Europa.

NFL è probabilmente la Lega meglio strutturata al mondo, eppure ricorre a un distributore per incrementare il fatturato, come mai?

La NFL è una lega con molte persone che lavorano al proprio interno, con 1900 dipendenti, con uffici importanti a Londra e Hong Kong.

Pur avendo tutto questo personale hanno preferito affidare la distribuzione dei diritti a una società specializzata come la nostra e ne siamo orgogliosi.

Perché le federazioni e le leghe non vendono direttamente i diritti alle televisioni?

Sono soggetti che sanno fare i loro interessi e in certi casi lo fanno direttamente. In altri casi preferiscono affidarsi ad aziende specializzate come la nostra, perché sanno che riusciamo a fare un lavoro migliore sia in termini economici sia in termini di esposizione da dare al contenuto. Perché qualsiasi evento al mondo ha bisogno di esposizione per quanto grande possa essere. Le leghe preferiscono focalizzarsi su altri aspetti. La NFL, per esempio, pensa più a merchandising, marketing, organizzazione partite e preferisce dare in outsourcing una parte del proprio business.

MP & Silva nasce qualche anno fa con una visione in controtendenza. 

Quando nel 2004 ho fondato questa azienda mi ricordo che nel settore si diceva che agenzie di distribuzione ne esistevano già da una decina d'anni, e si credeva che sarebbero sparite in futuro perché ormai c'era la disintermediazione e si sarebbe venduto facilmente anche grazie a Internet.

Anche la Federazione del calcio malese grazie ad Internet avrebbe venduto i diritti in America. In realtà, noi siamo partiti da zero e oggi abbiamo un fatturato di 700 milioni di dollari e anche gli altri player sono cresciuti.

Quali sono i motivi di questa crescita?

Il mondo è più complesso di quello che sembra: alzare il telefono per vendere i propri diritti in Vietnam è possibile, ma c'è sempre qualcuno più bravo di te che riesce ad avere il 10-15% di margine in più. Questa è un po' l'essenza del lavoro. E' il motivo per cui la Lega più grande al mondo affida a noi la gestione dei diritti e dimostra il valore aggiunto che portiamo al mercato e il motivo per cui le Leghe scelgono noi.

In Italia siete percepiti come coloro che hanno fatto "una scommessa" sulla vendita dei diritti all'estero, forse gli unici che vogliono valorizzare il prodotto calcio all'estero. Qual è il processo che ci sta dietro, come fate a quantificare quanto vale uno sport, quella federazione, quella lega, quegli eventi?

Si parte dall'analisi e dalla massa critica del prodotto. Conoscenza del mercato e dei valori.

Abbiamo 100 persone nel mondo che sono dedicate ad acquistare e vendere diritti televisivi e c'è un team capeggato da James Pickels che è capace di valutare gli eventi. Il mercato dei diritti televisivi a livello mondiale è un po' come una Borsa, dove ci sono centinaia di migliaia di properties che hanno un valore per ogni Paese diverso e una miriade di numeri. A differenza della Borsa, i valori non si conoscono e non li spiattellano ai quattro venti perché sono dati aziendali. Noi attraverso anni e anni di opera sul mercato, analisi, frequentazione di fiere specializzate e via di seguito, abbiamo creato un data base enorme di conoscenze di informazioni e riusciamo a fare analisi di valori di mercato abbastanza vicine alla realtà. In più abbiamo una massa critica di prodotto che è una cosa fondamentale. Faccio un esempio. Nei Paesi scandinavi i diritti dell'NBA non si vendevano da qualche anno perché il basket non è uno sport principale, anche se ti chiami NBA. Doppio danno per la Lega: zero ricavi e zero visibilità per il proprio prodotto. Noi siamo riusciti a vendere i diritti NBA là, perché abbiamo altri diritti e facendo un pacchetto di prodotto, per esempio con il calcio francese e Ibrahimovic, che in quel Paese è un personaggio enorme.


In Svezia il calcio "tira" il resto, così come in altri Paesi è il tennis a fare da traino. Con la massa critica di prodotto hai più peso nella trattativa.

E i broadcaster?

Gli stessi broadcaster amano questo tipo di situazione perché operativamente comprare i diritti singolarmente è complicato, mentre comprare da tre o quattro produttori i contenuti che formano il palinsesto è più comodo. Poi comprano ovviamente anche singolarmente i prodotti, ma il 90% del prodotto è gestito e deciso per tutto l'anno. Inoltre noi facciamo la delivery del prodotto stesso e questo riduce il numero degli interlocutori. E' il motivo per cui compriamo diritti e li vendiamo bene, anche a valori che una Lega non potrebbe ottenere da sola. Non c'è nessun segreto, è il principio che vale in ogni business distributivo, quello della massa di prodotto. Aggiugo un aspetto. Il rischio imprenditoriale c'è: non c'è certezza di vendere bene, ci sono mille variabili, da un nuovo contenuto a una crisi economica, e quindi serve un minimo di rischio imprenditoriale che ci fa meritare quel 10-15% di guadagno per quel rischio che ci siamo presi.

Avete lanciato Milan Channel, ma poi siete usciti dalla produzione? C'è un motivo?

Esistono entità all'interno degli eventi sportivi che curano tutto, dal marketing alla raccolta pubblicitaria alla creazione del format.


Noi in questi dieci anni abbiamo voluto fare una cosa sola e al meglio: distribuire gli eventi sportivi alle TV. E' stata una scelta giusta perché non tutti riescono a fare tutto bene e, come in ogni settore, fare troppe cose significa non riuscire magari a fare tutto bene. Noi siamo specializzati, siamo diventati leader e abbiamo una buon grado di conoscenza e una posizione importante sul mercato. Probabilmente in futuro anche noi faremo altre cose, Qualcosina abbiamo fatto sulla produzione, magari faremo di più; per ipotesi, la raccolta di sponsorizzazioni. Questa diversificazione, che finora non abbiamo fatto, ce la possiamo permettere adesso che siamo abbastanza grandi. Nei prossimi mesi o anni - senza perdere il focus sul nostro pane quotidiano che sono i diritti televisivi che dobbiamo fare sempre meglio e con la massima attenzione - svilupperemo altre aree. Ora ce lo possiamo permettere perché la diversificazione è un investimento in una certa area e, secondo me, finché si è piccoli e si sta crescendo la diversificazione è un investimento che riduce la profittabilità, ma che magari porta benefici tra tre o cinque anni. Probabilmente non saremmo riusciti a crescere così bene nel nostro mercato se avessimo fatto altre cose.


Adesso siamo così ben strutturati e organizzati e sufficientemente grandi per poterci permettere delle diversificazioni. Sarà una fase due. Ma crescere è una richiesta che sentite?

Tante volte ci chiedono di prendere i diritti televisivi e cercare gli sponsor, ma fino a oggi abbiamo rifiutato. Cercare sponsor spot a macchia di leopardo, posizionando due o tre persone nei Paesi chiave non ci avrebbe permesso di offrire un ottimo servizio ai clienti. Abbiamo preferito concentrarci su un business facendolo al meglio.

Cosa significa per Riccardo Silva come imprenditore sviluppare un'area?

Quando sviluppo un'area lo faccio bene, in maniera globale con una struttura ben organizzata. Non volevo prendere cose spot facendole magari male, ma fare un progetto più studiato, e al momento giusto e nel modo giusto.

Voi cedete i diritti per territorio, non per piattaforma: quali sono i motivi?

All'interno di un territorio ci sono svariati canali: c'è la TV, Internet, il mobile. Cerchiamo di suddividere i diritti all'interno di un territorio e ognuno poi puo' trasmettere come vuole.


In USA e Giappone si sta distribuendo molto via Internet, ma noi non vogliamo entrare nel merito perché spesso sono gli stessi operatori che differenziano. Anche in italia Sky rende disponibile i contenuti con SkyGo su Internet e mobile. Se vendessimo worldwide, Internet cannibalizzerebbe i diritti Paese per Paese, mentre vendere ai singoli stati sviluppa anche la distribuzione Internet senza togliere valore ai diritti televisivi.

Il calcio per noi italiani è lo sport per antonomasia, ma esistono Paesi in cui è difficile vendere i diritti televisivi del calcio?

Certo, il più grande è l'India, dove il calcio fatica a prendere quota, mentre il cricket è assolutamente popolare e lì i diritti per quello sport valgono tantissimo. Ci sono altri sport come il baseball dove sono forti negli USA, poi in Paesi caraibici, oppure (è numero 1) in Giappone, Corea e Taiwan, mentre è inesistente nel resto dell'Asia. Il calcio e il tennis, a cifre diverse, sono universali. Il basket è molto indietro in Asia, e anche il calcio in Asia sta aumentando. Sono valutazioni da fare per ogni singolo territorio. Avendo massa critica di prodotto cerchiamo di spingere sport che magari in quel Paese non sono così importanti.



Ma voi siete dei venditori stagionali seguendo lo sport, oppure siete destagionalizzati?

I campionati che abbiamo in portfolio hanno una durata di 9-10 mesi, per cui durano tutto l'anno. Le vendite le facciamo per più anni, almeno due o tre, e questo ci permette di non essere schiavi del calendario. Le compravendite si fanno in anticipo anche di un anno perché le televisioni devono crearsi i palinsesti in anticipo ed evitare di trovare il budget già finito per la stagione successiva. E' un lavoro che occupa 365 giorni all'anno e continuativo.

Quanto conta la tecnologia nel suo lavoro?

Per me è importantissima perché mi permette di rimanere in contatto con i clienti. Ci sono delle trattative che avvengono anche via whatsapp o via sms, via mail. Il 50% del mio lavoro passa dalla tecnologia, il 50% riguarda una presenza fisica presso i clienti. Dieci anni fa era l'80% presenza fisica e quindi è cambiato tutto. Il mio tipo di lavoro è particolare, in vacanza e nel week end c'è sempre qualcosa da fare; al tempo stesso nei giorni lavorativi non ci sono le otto ore classiche. Ogni giorno succede qualcosa e molto viene seguito e gestito con la tecnologia.


Lo smartphone ha cambiato tutto. Viaggio molto meno e di questo sono dispiaciuto. Una volta ero in tre o quattro città nello stesso giorno e all'inizio, per farsi conoscere, bisognava viaggiare tanto. Oggi abbiamo venti uffici in tutto il mondo e viaggio sostanzialmente tra le due città in cui abbiamo le sedi: Londra e Miami. Una volta viaggiavo in 300 città. La presenza fisica è oggi affidata alle persone nei nostri tanti uffici. Una volta andavo a Tokyo tre quattro volte all'anno, adesso sono dispiaciuto perché sono tre anni che non ci vado, pero' ho le persone che ci lavorano e questo ha cambiato tutto, anche il mio lavoro.



 


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