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15/11/2023

economia

Mercati: il giorno della marmotta

Hans-Jörg Naumer (AllianzG): le prossime settimane saranno determinanti per capire se riusciremo a uscire dal circolo vizioso del dibattito sul "soft landing", sia per entrare in recessione che per beneficiare di un atterraggio morbido vero e proprio

Stando alle query di ricerca di Google, "soft landing" (o "atterraggio morbido" che dir si voglia) è stato tra i termini più ricercati per oltre due anni, mentre "recessione" ha registrato un'impennata significativa a metà del 2022 per poi diminuire rapidamente.
Non c'è quindi da sorprendersi se negli ultimi trimestri le stime di consenso sulla crescita degli Stati Uniti sono state costantemente riviste al rialzo. Sembra che ci troviamo in un circolo vizioso, dal momento che lo scenario dell'"atterraggio morbido" viene riproposto ad ogni piè sospinto. Un po' come nel film "Ricomincio da capo" ("Il giorno della marmotta" - "Groundhog Day").
La storia ci insegna che la capacità predittiva degli esperti nei confronti delle recessioni economiche è molto bassa.
Secondo il National Bureau of Economic Research (NBER), tra la metà degli anni Sessanta e oggi si sono verificate otto recessioni negli Stati Uniti, ma le stime di consenso raccolte nell'ambito di sondaggi tra gli economisti hanno superato la soglia del 50% di probabilità solo in due casi - e questo solo quando la recessione era già in atto.


Non esiste una definizione precisa di "soft landing". Mentre la maggior parte degli esperti vede come prerequisiti una crescita del prodotto interno lordo (PIL) bassa ma positiva e un graduale indebolimento del mercato del lavoro, secondo altri punti di vista una lieve recessione potrebbe addirittura essere accettabile. Per semplicità, l'ipotesi più accreditata è che per "atterraggio morbido" si possa intendere uno scenario economico in cui si riesce ad evitare con successo una recessione nonostante il significativo inasprimento della politica monetaria. In particolare, negli Stati Uniti sono tre i casi storici (1966, 1984 e 1995) che possono essere identificati come atterraggi morbidi seguiti a rialzi dei tassi di interesse di 300 punti base o più e nei quali non si è verificata alcuna recessione per almeno i tre anni successivi.

A che punto siamo, quindi?

Numerosi indicatori economici suggeriscono che l'economia statunitense è entrata in una fase vulnerabile di fine ciclo caratterizzata, tra le altre cose, da un mercato del lavoro estremamente rigido, un output gap chiuso, una contrazione dei margini di profitto delle imprese, una diminuzione della crescita della massa monetaria e una curva dei rendimenti invertita (che storicamente è sempre stata un'anticipazione di recessione da parte dei mercati obbligazionari).

Si tratta di un contesto che lascia alle autorità monetarie statunitensi poca libertà di tagliare i tassi di interesse nel breve termine, poiché l'inflazione non sta ancora registrando un percorso sostenibile di rientro verso il suo livello target. È difficile immaginare che il contenimento delle pressioni inflazionistiche possa avvenire senza un significativo indebolimento del mercato del lavoro. In un mondo ideale, diminuirebbe solo l'elevato numero di posti di lavoro vacanti, senza un aumento del tasso di disoccupazione.
Da non sottovalutare è poi il (potenziale) inasprimento delle condizioni finanziarie, che - nonostante i rialzi dei tassi e le vendite di obbligazioni da parte della Fed - non è ancora ampiamente evidente. Almeno, questo è ciò che suggerisce l'indicatore delle condizioni finanziarie della Fed di Chicago.
Guardando al contesto globale, l'Europa è sulla soglia della recessione, e la Germania l'ha già oltrepassata. Dal canto suo, la Cina potrebbe aver toccato il fondo e tornare a crescere, sostenuta da ingenti stimoli.
Le prossime settimane saranno quindi determinanti per capire se riusciremo a uscire dal circolo vizioso del dibattito sul "soft landing", sia per entrare in recessione che per beneficiare di un atterraggio morbido vero e proprio.



Non si può escludere che l'economia statunitense scivoli verso la recessione.
A tutto questo si aggiungono le incertezze (geo)politiche. Negli Stati Uniti il voto sul bilancio è stato solo rimandato; la questione è ancora all'ordine del giorno e lo "shutdown" rimane uno scenario possibile. I combattimenti in Medio Oriente potrebbero estendersi e, in tal caso, i prezzi del petrolio potrebbero aumentare e pesare sull'economia.
E per i mercati i futuri sviluppi ciclici (atterraggio morbido o recessione) non saranno privi di conseguenze, andando ad interagire con l'importante ruolo della politica monetaria. Ogni recessione negli Stati Uniti dalla metà degli anni '50 è stata preceduta da un ciclo di rialzo dei tassi da parte della Federal Reserve (Fed), ma d'altro canto non tutti i cicli di rialzo hanno portato a una recessione. Negli ultimi dodici cicli di rialzo dei tassi della Fed, si è osservato quanto segue: se i rendimenti dell'indice S&P 500 erano negativi dopo l'ultimo rialzo dei tassi, è iniziata una recessione nei dodici mesi successivi.
Se, invece, i rendimenti azionari rimanevano decisamente positivi, l'economia riusciva ad avere un "atterraggio morbido" o la recessione iniziava più di un anno dopo l'ultimo rialzo dei tassi.


In passato, gli sviluppi ciclici hanno avuto un impatto maggiore sugli asset rischiosi rispetto alle decisioni di politica monetaria.

Hans-Jörg Naumer, Director Global Capital Markets & Thematic Research, Allianz Global Investors


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