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25/10/2023

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Stefano Pellandini (GEA): le barriere culturali frenano la trasformazione digitale nelle aziende italiane

Occorre l'allineamento organizzativo a supporto della digital transformation, che deve partire da una spinta e una volontà chiara di investire da parte dell'imprenditore, della proprietà, dell'AD, oltre che la partecipazione di tutta l'azienda

I principali ostacoli alla trasformazione digitale per le aziende italiane sono le barriere culturali e la errata percezione sulla necessità di alti investimenti per avviare la trasformazione digitale in azienda. Sono i principali risultati della survey condotta da GEA Digital in occasione dell'IMD-GEA Annual Business Forum. Ne abbiamo parlato con Stefano Pellandini, Managing Director di GEA.

Per iniziare, potrebbe fornirci una panoramica di GEA e del suo ruolo nel mondo della consulenza strategica?


GEA è una società di consulenza strategica fondata nel lontano 1965, la prima in Italia a svilupparsi. Siamo una boutique con circa 40 persone. La nostra missione è di supportare le aziende imprenditoriali italiane, compresi imprenditori e top management, nel loro percorso di crescita profittevole. Operiamo in una serie di settori, tra cui i beni di consumo food e non food, i beni durevoli e industriali (B2B, B2C e fornitori), e il mondo del tessile, del fashion e del lusso.

Quindi vi concentrate su settori specifici.

Cosa vi distingue da altre società di consulenza?

Esattamente, ci concentriamo su questi settori specifici e non affrontiamo altri come l'energia, le banche o le assicurazioni. La nostra esperienza e specializzazione ci consentono di offrire un servizio altamente raffinato in questi settori.

Qual è stato l'impatto della pandemia sulla vostra attività di consulenza? Come è cambiato il vostro ruolo e le esigenze dei clienti in questo periodo?


La pandemia ha portato molte aziende in uno stato di emergenza. Hanno cercato supporto per gestire scenari di emergenza e affrontare problemi nelle catene di fornitura, problemi produttivi e altro. La nostra consulenza si è concentrata su come reagire, ottimizzare le operazioni e proteggere le posizioni nel post-pandemia.



Quindi avete notato un aumento della richiesta di consulenza durante la pandemia.


Sì, molte aziende hanno cercato il nostro supporto durante quel periodo critico. Nel post pandemia abbiamo assistito a un grande ritorno ai piani di sviluppo.

Oggi le aziende italiane devono esporsi molto ai mercati internazionali e vediamo un ritorno ad una visione più serena, in cui le aziende più sane ternano a investire in modo significativo per continuare una crescita profittevole nel tempo.



Come avete visto cambiare l'atteggiamento delle aziende verso la trasformazione digitale?


Ciò che è emerso dalla nostra survey è che da un lato il fatto che la Digital Transformation sia un'opportunità di crescita e di creazione di valore molto chiara a tantissime aziende, cioè non stanno più a chiedersi se arriverà e quando arriverà. Il percepito è che sarà dirompente anche nei settori più tradizionali italiani e che comunque tante aziende ritengono ad oggi essere indietro rispetto agli obiettivi che si sono posti.



Può spiegarci meglio queste differenze?


Dalla survey emerge che alcune aziende hanno una strategia ben definita e un portafoglio di iniziative da implementare ben chiare. Un'altra parte delle aziende sta implementando la trasformazione digitale in modo, diciamo così, un po' scoordinato, e altre aziende proprio non hanno iniziato a pensarci, ma non hanno proprio avviato nessun tipo di implementazione.


Quindi c'è una forchetta piuttosto ampia su quante le aziende stanno pianificando. Il dichiarato è che, per le aziende che se li sono fissati, sono ancora distanti rispetto agli obiettivi che si sono poste.

Perchè questo ritardo?


Il perché di questo ritardo esce chiaramente dalla survey: uno dei primi elementi sono le barriere culturali. Almeno è questo il percepito. Il secondo è un percepito di ritorno su investimento ancora un po' evanescente, non sempre è ben chiaro. Il primo lo riconducono sostanzialmente a un tema sicuramente culturale di legacy, ma che tocca tanti aspetti, come l'allineamento organizzativo a supporto della trasformazione digitale, che deve partire da una spinta e una volontà chiara di investire da parte dell'imprenditore, della proprietà, dell'AD o CEO. Che però non basta, perché poi serve in azienda la cultura digitale. In tutto questo chiaramente sto ipotizzando che l'azienda abbia presente che esistono gli enabler tecnologici e che sappia come utilizzarli per creare delle soluzioni con l'obiettivo di impattare in alcune precise aree del business.


Poi rimane quello delle capabilities che è percepito ancora come la principale barriera.
Questo richiede chiaramente, come dicevo, una spinta dall'alto e una contaminazione del digitale in azienda che non deve essere necessariamente inizialmente diffusa, ma preminente. La capacità di investire in qualcuno che l'ha già fatto e che ne sa, se non ce l'ha già in azienda. Occorre allineare assolutamente e organizzazione processi a supporto del digital e porsi obiettivi molto ambiziosi.



Parlando di settori specifici, come vedete l'evoluzione della digital transformation in diversi settori?


Abbiamo presentato il Digital Vortex, che esce da uno studio fatto dalla scuola IMD di Losanna, che fa vedere come la digital transformation attualmente stia generando un vortice e che trascina tutti i settori e tutte le aziende in modo molto importante verso il centro. Non tutti i settori sono ad oggi ugualmente impattati dalla Digital Transformation, mentre sicuramente tutti lo sono e lo saranno, ma non con la stessa intensità.
Ad oggi al centro c'è tutto il mondo della dell'education e dei servizi finanziari, in cui chi non affronta il digital lo probabilmente è già stato trascinato in fondo al vortex.


Man mano questo vortice può classificare i vari settori. Il nostro Paese si ritrova sicuramente al terzo o quarto posto nel mondo del retail e di imprese ne abbiamo tante. Però tutti i settori, quindi anche di prodotto manifatturiero, i beni durevoli, i beni di consumo e tutti gli altri, sono e saranno impattati con una velocità diversa. E questo può essere letto in vari modi, cioè più sei in centro e più se non reagisci è un rischio imminente. Quindi o fai la trasformazione digitale o sei fuori. Certo, si può sempre aspettare, ma è un rischio.
In realtà, se cavalchi questa opportunità in modo proattivo, diventa una bellissima opportunità, anche un'opportunità di avere grandi soddisfazioni di business e creare e costruire un vantaggio competitivo prima di altri. Quindi distaccarsi, diciamo così, dal gruppo. Quindi vale per tutti, con un'intensità e un senso di urgenza imposto dall'esterno, diverso a seconda di dove sei o reagisci.

Come riduciamo lo skill shortage di talenti digitali?


Questi talenti arrivano dal mondo universitario, dal Politecnico, da tanti istituti di formazione.


Quindi bisogna investire nella formazione. Però bisogna anche rendere il Paese attrattivo, perché i digital talent possono essere alla fine educati in Italia o anche essere importati dall'estero e quindi anche creare un contesto attrattivo a questi talenti importante. Quindi produrre in casa, ma anche creare le condizioni per attrarli, importarli dall'estero.

Infine, cosa consiglierebbe alle aziende che stanno cercando di affrontare la digital transformation in modo efficace?


È importante investire nella formazione e rendere il Paese attrattivo per i talenti digitali. Le aziende devono avere una strategia chiara e un'organizzazione che supporti la trasformazione digitale. Inoltre, devono porsi obiettivi ambiziosi e agire in modo proattivo.


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