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02/08/2023

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Josef Nierling (Porsche Consulting): i 4 trend globali su cui modellare le strategie delle nostre imprese

Il futuro è pieno di opportunità, è una questione di visione. Vogliamo spronare i nostri imprenditori a guardare alle occasioni future di settori come la space economy, i semiconduttori, il mercato della CO2 e l'idrogeno

Nuova globalizzazione, trasformazione della nutrizione, Space Economy, sostenibilità ambientale ed energetica sono i macrotemi che dovranno guidare lo sviluppo delle aziende italiane. Sono fattori chiave che determineranno la catena del valore per le imprese. Ne abbiamo parlato con Josef Nierling, Amministratore Delegato Porsche Consulting Italia.

Avete identificato i 4 trend della trasformazione dell'economia italiana. Quali sono in sintesi?


Il primo trend riguarda sicuramente una "nuova globalizzazione": i rallentamenti dei flussi dovuti al periodo pandemico, gli attriti tra Cina e Stati Uniti e la guerra in Ucraina hanno accelerato il processo di ridistribuzione globale delle catene del valore. Ai fattori di tipo geopolitico, si sommano i cambiamenti di natura tecnologica: ad esempio l'automobile, oggi molto diversa per l'introduzione delle motorizzazioni elettriche, le batterie e l'elettronica: tutto ciò sposta la catena di approvvigionamento a livello globale.
In generale il mix di prodotti nell'export sta cambiando: alcuni Paesi ne stanno traendo vantaggio, altri vedono un calo.

Paesi come l'Italia e la Germania che hanno una quota importante di export nel prodotto interno lordo devono intercettare rapidamente questi cambiamenti. Gli investimenti delle aziende oggi come nel passato seguono la profittabilità del capitale e si sposteranno lì dove più facilmente si riuscirà a produrre i propri prodotti in maniera più efficiente, e con meno rischi. In aggiunta, le aziende stanno puntando sulla flessibilità e sull'agilità pe far fronte a spostamenti repentini dovuti a fenomeni inaspettati, come è stata la guerra in Ucraina. Ma guardando al medio termine, invece, il focus è sulla redditività del capitale e se vogliamo attrarre investimenti, in particolare nel nostro territorio, dobbiamo riuscire a essere competitivi.
Il secondo trend riguarda la "trasformazione della nutrizione". Le nuove generazioni richiedono un cambiamento nei prodotti che, soprattutto nei mercati più sviluppati come quelli occidentali, le scelte stanno diventando sempre più salutari, con l'allontanamento progressivo dalle proteine di tipo animale. Tra le soluzioni a questo trend ci sono anche le proteine di tipo sintetico: è per questo fondamentale per l'Italia trovare la propria via, e non è sufficiente contrastare la nascita di prodotti come le carni sintetiche, bisogna piuttosto garantire che il settore alimentare italiano possa avere un futuro di crescita, anche in termini di export.

Questo tema a volte spaventa le imprese che, tuttavia, devono iniziare a guardare il tema con occhi diversi, aggiungendo l'innovazione alla tradizione.
Abbiamo esplorato in dettaglio anche il tema della sostenibilità ambientale e della riduzione delle emissioni di anidride carbonica nei prossimi decenni. Questo indirizzo sta determinando un cambiamento della strategia in diversi settori: ad esempio, ha portato a veicoli a motorizzazione elettrica o allo sviluppo di un nuovo modo di produrre energia. Ha determinato, inoltre, lo sviluppo di nuove tecnologie per la cattura della CO2, che consentono di ridurre l'anidride carbonica nell'aria e di riutilizzarla per produrre altre sostanze utili, come ad esempio i fertilizzanti. A volte, il tema dell'idrogeno, strettamente legato a quello della sostenibilità, è sollevato in contrapposizione con l'opzione delle motorizzazioni elettriche: bisogna però evidenziare il fatto che il ciclo naturale di sviluppo nell'industria automobilistica prevede investimenti dai 10 ai 20 anni. L'idrogeno è in una fase molto sperimentale, con una tecnologia non ancora matura, e le case automobilistiche sono focalizzate, in questo momento, verso l'elettrico.


Ci vorranno ancora decenni perché la tecnologia basata sull'idrogeno sia significativamente visibile sulle strade. Avrà anche un ruolo importante per i sistemi di produzione di energia rinnovabile, consentendo di conservare e trasportare energia da una parte all'altra del globo. Per certe applicazioni, come nel settore navale, potrebbe essere più facile e veloce abbracciare questa nuova tecnologia.
Infine, abbiamo il tema della Space Economy, collegata alla possibilità oggi di lanciare nello spazio anche basi orbitali di tipo privato, attivando di fatto un nuovo settore economico. Questa innovazione ha un potenziale enorme: parliamo di un mercato creato dal nulla, con aziende e start-up che oggi continuano a cercare nuove soluzioni e per cui la collaborazione e più rilevante della competizione. Anche nel nostro territorio ci sono importanti esempi di innovazione legati alla Space Economy, grandi imprese come Thales Alenia fino a start-up come D-Orbit. Il prossimo passo è costruire un'infrastruttura che permetta di sviluppare l'economia terrestre basandosi sui dati raccolti nello spazio. Possiamo parlare, ad esempio, del supporto che immagini raccolte da sistemi satellitari possono apportare: la possibilità di utilizzare dati in maniera massiva dall'orbita terrestre può aprire enormi opportunità per le grandi aziende e per i nuovi business.


Inoltre, l'economia spaziale potrebbe continuare il proprio sviluppo, portando ad una produzione nello spazio e per lo spazio. Sarà molto probabile che si crei un'industria di produzione di oggetti per lo spazio nello spazio stesso, costituendo un vero e proprio sistema di "manufacturing nello spazio", con sistemi circolari e di recupero. Nessun altro settore come quello spaziale ha un orizzonte di crescita più ampio.

Come cambiano le catene del valore?


Le catene del valore stanno cambiando sulla base di alcuni driver: attualmente, uno dei più evidenti è quello della gestione del rischio di approvvigionamento, che ha portato ad esempio ad un'accelerazione degli investimenti sui semiconduttori. C'è stata in passato una forte concentrazione di aziende produttrici di semiconduttori in alcuni Paesi, ora c'è una strategia di diversificazione e di investimenti locali: l'evidente rischio geopolitico e la lentezza degli approvvigionamenti, anche dovuta ad un eccesso nella domanda, hanno spinto diverse realtà e istituzioni mondiali a realizzare i cosiddetti Chips Act, investimenti mirati di politica industriale per assicurarsi un futuro nel settore dei semiconduttori.


Lo possiamo notare sia in Europa che in Oriente (in Corea in particolare e soprattutto in Cina, che ambisce a diventare il più importante produttore di semiconduttori a livello globale). Nel complesso, si può dire che l'approccio all'innovazione, insieme alle dinamiche del costo del lavoro, abbia portato ad una riallocazione delle produzioni globali. Le imprese globali che intendono spostare la produzione guardano sempre più a Paesi asiatici con una forte stabilità politica. Abbiamo già potuto osservare le operazioni di offshoring dagli Stati Uniti verso il Messico, dove il costo del lavoro è più competitivo, anche rispetto alla Cina. Altre industrie, come quella degli elettrodomestici, hanno avuto un progressivo allontanamento dai mercati dove il prodotto finale veniva venduto: l'Italia, ad esempio, ha perso la posizione eccellente che prima deteneva, lasciando spazio prima a paesi dell'est Europa (come la Turchia) e ora a Paesi asiatici. La catena del valore italiana in questa industry si è indebolita in maniera significativa.
Tutto ciò riguarda anche il settore dell'Automotive, in cui l'Italia ha perso una quota importante della produzione, che può portare a rischi di indebolimento dell'indotto.


Nel settore è sicuramente riconosciuta la rilevanza dell'Italia nella componentistica, nata con la produzione delle automobili e cresciuta poi negli anni Settanta, Ottanta e Novanta. Perdendo la produzione di automobili il rischio per l'Italia è di perdere questa fondamentale competenza: è importante che le istituzioni siano al fianco delle case automobilistiche, altrimenti si rischia di non essere al centro del processo di trasformazione in atto.
È necessario, dunque, individuare quei settori dove l'Italia vuole essere competitiva, ma che al contempo abbia potenziali significativi di crescita. Oggi, dal punto di vista nazionale e di coordinamento dell'Unione Europea, è necessario costruire delle strategie politiche attive per attrarre investimenti in particolare nel manufacturing, uno dei pilastri fondamentali dell'economia.

Come vedete il futuro dell'idrogeno?


Anche se l'applicazione dell'idrogeno potrebbe non essere immediata, essa rappresenta un tassello fondamentale nell'ambito della transizione energetica, per utilizzare le energie rinnovabili e per fare da accumulo nella produzione dell'energia stessa.


L'idrogeno è infatti un vettore che permette di trasportare e produrre energia in luoghi diversi: sarebbe quindi opportuno utilizzare in maniera massiva questa proprietà nella produzione di energie rinnovabili, e per soddisfare il maggiore fabbisogno di elettricità in futuro. Non parliamo solo di auto elettriche, ma anche di data center e degli innumerevoli dispositivi elettronici che ci circonderanno: il futuro di tutti i settori sarà determinato dal futuro dell'energia. L'Italia può sfruttare gli asset già presenti sul suo territorio. Storicamente in Italia abbiamo sia una forte capacità distributiva a livello territoriale, sia capacità di accumulo: possediamo un'ottima infrastruttura per la distribuzione del metano, che con alcuni adattamenti può domani può supportare la diffusione dell'idrogeno. È necessario oggi sincronizzare l'industria dell'idrogeno con un investimento più importante nelle energie rinnovabili, dove tutt'oggi l'Italia risulta più avanti anche rispetto ad altri Paesi europei. E sicuramente abbiamo interessanti player come De Nora, azienda leader nelle tecnologie per l'idrogeno.

I semiconduttori sono il grande tema per il futuro.


Quali sono gli scenari che ci aspettano?

I semiconduttori rappresentano già oggi un asset fondamentale, dato che la maggior parte dei prodotti e servizi ha una componente digitale. Per fare un esempio concreto, analizziamo il caso dell'automobile: nel 1978 una Porsche aveva 8 semiconduttori e una centralina, oggi un'automobile è composta da circa 70 centraline e da 5000 a 7000 semiconduttori.
Attualmente la concentrazione della produzione in Paesi come Sud Corea e Taiwan rende impossibile per l'Europa controllare la produzione di semiconduttori. Due terzi degli investimenti derivanti dai Chips Act sono diretti alla produzione locale, mentre la restante parte restante è orientata verso le attività di ricerca e sviluppo. Bisogna cercare di mantenere la capacità di sviluppare semiconduttori, perché anche da questo dipende la competitività del nostro Paese a livello globale. In certi prodotti, inclusa l'automobile, la customer experience è ormai composta da tecnologie "soft" e sempre meno da aspetti "hard" che riguardano la "fisicità" del prodotto stesso.
In Italia si stanno facendo importanti investimenti, così come in Europa; tuttavia, questo non porterà a un'autonomia nella disponibilità di questi materiali: il fabbisogno è molto più alto rispetto alle capacità pianificate nei Chips Act.


È tuttavia importante garantire che la competenza di produrre semiconduttori si sviluppi e rimanga nel nostro territorio. Non basta la fase di ricerca e sviluppo, ma c'è bisogno anche di conoscere a fondo la produzione dei semiconduttori: la stessa ricerca non è un lavoro astratto, ma richiede un lavoro concreto di testing e sperimentazione nei siti produttivi. L'obiettivo è mantenere importanti competenze che permetteranno di essere competitivi in futuro, pur consapevoli che a livello globale nessun Paese potrà ritenersi totalmente indipendente ed autonomo.

Strategic Change Management: perché le trasformazioni possono fallire?


Le trasformazioni di cui abbiamo parlato richiedono sia un cambiamento della strategia che un cambiamento delle competenze. Strategicamente il cambiamento deve essere fatto quando il trend è allo stadio iniziale: le aziende che hanno maggior successo sono quelle che riescono a cambiare prima che la trasformazione sia generalizzata nel settore o ancora meglio guidando la trasformazione stessa.
Per analizzare ancor più approfonditamente questo aspetto, abbiamo portato a termine un'analisi comparata sulle leve di cambiamento in Italia e in Germania.


È evidente come entrambi i Paesi si trovino nelle aziende barriere alla trasformazione: per l'Italia risulta più importante agire a livello manageriale, convincendo le figure nei ruoli più alti nelle organizzazioni ad abbracciare e indirizzare il cambiamento. Questo forse è dovuto anche alla dimensione delle stesse aziende. In Italia c'è però un vantaggio: una maggior propensione alla flessibilità, per cui il cambiamento è più naturale. In Germania, al contrario, essendo una cultura che ha ben strutturati processi e organizzazioni, un cambiamento delle attività core è più complesso. In ogni caso, possiamo imparare da entrambe le parti per comprendere i macro-trend che abbiamo discusso e cogliere gli effetti della trasformazione per una crescita economica.  


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