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25/01/2023

economia

Il gioco del gatto col topo tra i mercati finanziari e le principali Banche Centrali

Jumana Saleheen (Vanguard): i mercati si aspettano che una recessione metta pressione alle banche centrali per tagliare i tassi. Si tratta di un'ipotesi ragionevole dato il comportamento delle stesse osservato negli ultimi 25 anni

La politica delle banche centrali e l'andamento dei mercati finanziari possono essere difficili da comprendere. È dalla scorsa estate che banche centrali e mercati giocano al gatto col topo. Le banche centrali hanno avuto un atteggiamento da falco e i mercati, invece, avrebbero voluto vedere il volo delle colombe.
Poco prima della pubblicazione dei verbali della Fed, il 4 gennaio, i mercati sono saliti nella speranza di un segnale sul fatto che la Fed stesse considerando un allentamento della propria politica. Sono rimasti delusi e le azioni hanno azzerato i guadagni precedenti. L'Europa ha vissuto un'esperienza simile il 14 dicembre, dopo la conferenza stampa della Bce sulla politica monetaria. I mercati sono stati sorpresi dal tono hawkish, con un ritracciamento delle azioni europee.
Come si spiega questo conflitto? Perché mercati e banche centrali non seguono il medesimo spartito?
Le possibili spiegazioni sono almeno due: la prima è che i mercati hanno previsioni più ottimistiche per l'inflazione e la seconda è che i mercati non credono alle comunicazioni delle banche centrali relativamente alla funzione di reazione delle proprie politiche.


Confrontando le previsioni sull'inflazione pubblicate dalle banche centrali rispetto al consensus, scopriamo che i mercati prevedono un'inflazione più bassa. Questo può spiegare in parte perché la view dei mercati sui tassi di interesse sia più dovish.
I mercati credono nella funzione di reazione delle banche centrali? Le evidenze dicono di no.
I toni da falco delle banche centrali derivano dalla loro volontà di contrastare un'inflazione elevata. Le banche centrali ritengono che i tassi di interesse necessitino di essere ulteriormente aumentati per riportare l'inflazione, oggi a livelli storicamente elevati, all'obiettivo del 2%.
I presidenti della Fed e della Bce si sono spinti oltre, affermando che una volta che i tassi di interesse avranno raggiunto il picco, dovranno rimanere su livelli elevati - in territorio restrittivo - per un certo periodo di tempo.
Comunque, vi è confusione sul significato di "territorio restrittivo" e se le banche centrali vi siano già entrate.
Secondo una prima definizione ci si trova in "territorio restrittivo" quando il tasso dei Fed fund è più alto del tasso neutrale di interesse.

L'attuale tasso dei Fed fund è al 4,25-4,5%, un livello superiore rispetto alle stime di un tasso neutrale statunitense - anche se incerto - compreso tra il 2% e il 3%.
Analogamente, nell'area dell'euro, il tasso di deposito della Bce è del 2%, superiore al tasso neutrale stimato tra l'1% e il 2%.
Una seconda definizione di "territorio restrittivo" si riferisce alla situazione in cui il tasso d'interesse reale - il tasso d'interesse nominale meno il tasso d'inflazione - è positivo. L'inflazione americana è al 7%, mentre quella dell'area euro è al 9,2%. Entrambi i dati sono superiori rispetto ai tassi nominali e significa che i tassi reali sono negativi. Pertanto, secondo questa definizione, i tassi non sono ancora in territorio restrittivo.
I mercati si aspettano che una recessione metta pressione alle banche centrali per tagliare i tassi. Si tratta di un'ipotesi ragionevole dato il comportamento delle stesse osservato negli ultimi 25 anni, quando l'inflazione è stata bassa e stabile.
Ma le banche centrali taglieranno comunque i tassi nel 2023 in caso di recessione accompagnata da un'inflazione ostinatamente alta?
I mercati dicono di sì.


Attualmente stanno anticipando due tagli dei tassi di 25 punti base da parte della Fed alla fine del 2023. Per quanto riguarda l'area dell'euro, per ora i mercati non prevedono alcun taglio dei tassi.
Le banche centrali, però, non hanno ancora iniziato a parlare di tagli dei tassi. Il prerequisito è una moderazione della crescita salariale, dagli attuali valori del 5-6% a circa il 3%-4%, livelli considerati coerenti con l'obiettivo di inflazione.
All'inizio del 2023 c'è un'enorme incertezza sulla persistenza dell'inflazione core. Finché non vi sarà maggiore chiarezza, il gioco del gatto col topo continuerà.

Jumana Saleheen, Chief Economist di Vanguard Europe


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