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02/11/2022

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Smartworking in aumento nelle grandi imprese, in calo nelle PMI e nella PA. Previsioni di crescita nel 2023

Per i lavoratori il risparmio netto è di circa 600 euro, circa 1.000 euro in meno l'anno per il trasporto, il caro-bollette pesa 400 euro. Per le aziende circa 500 euro di risparmio l'anno a postazione. Riduzione delle emissioni di CO2 di circa 450Kg annui a persona

Lo smartworking è qui per restare e, dopo un necessario assestamento, diventerà il "new normal". Nel 2022 in Italia il lavoro da remoto continua a essere utilizzato in modo consistente, sebbene in misura minore rispetto allo scorso anno. I lavoratori da remoto oggi sono circa 3,6 milioni, quasi 500 mila in meno rispetto al 2021, con un calo in particolare nella PA e nelle PMI, mentre si rileva una leggera ma costante crescita nelle grandi imprese che, con 1,84 milioni di lavoratori, contano circa metà degli smartworker complessivi. Per il prossimo anno si prevede un lieve aumento fino a 3,63 milioni, grazie al consolidamento dei modelli di smartworking nelle grandi imprese e a un'ipotesi di incremento nel settore pubblico.
Lo smartworking è ormai presente nel 91% delle grandi imprese italiane (era l'81% nel 2021), mediamente con 9,5 giorni di lavoro da remoto al mese e progetti che quasi sempre agiscono su tutte le leve che caratterizzano questo modello. Una tendenza opposta si riscontra nelle PMI, in cui lo smartworking è passato dal 53% al 48% delle realtà, in media per circa 4,5 giorni al mese.

A frenare in queste realtà è la cultura organizzativa che privilegia il controllo della presenza e percepisce lo smartworking come una soluzione di emergenza. Rallenta anche la diffusione nella PA, che passa dal 67% al 57% degli Enti, con in media 8 giorni di lavoro da remoto al mese. In questo caso a pesare sono soprattutto le disposizioni del precedente Governo che hanno spinto a riportare in presenza la prestazione di lavoro, ma per il futuro si prevede un nuovo aumento.
L'impatto dello Smartworking è sempre più positivo per effetto dell'aumento dei costi energetici: un lavoratore che operi due giorni a settimana da remoto risparmia in media circa 1.000 euro all'anno per effetto della diminuzione dei costi di trasporto. Nella stessa ipotesi di due giorni alla settimana di lavoro da remoto l'aumento dei costi dei consumi domestici di luce e gas può incidere però per 400 euro l'anno riducendo il risparmio complessivo a una media di 600 euro l'anno. Lo smartworking consente una riduzione dei costi potenzialmente più significativa per le aziende: consentire ai dipendenti di svolgere le proprie attività lavorative fuori della sede per 2 giorni a settimana permette di ottimizzare l'utilizzo degli spazi isolando aree inutilizzate e riducendo i consumi, con un risparmio potenziale di circa 500 euro l'anno per ciascuna postazione.

Se a questo si associa la decisione di ridurre gli spazi della sede del 30%, il risparmio può aumentare fino a 2.500 euro l'anno a lavoratore.
Sono alcuni dei risultati della ricerca dell'Osservatorio Smartworking della School of Management del Politecnico di Milano.
"La diffusione delle iniziative di smartworking negli ultimi due anni ha portato numerose organizzazioni e persone a confrontarsi con un modo di lavorare radicalmente diverso rispetto a quello adottato prima della pandemia", spiega Mariano Corso, Responsabile scientifico dell'Osservatorio Smartworking. "Spesso, tuttavia, l'applicazione delle nuove modalità di lavoro si è concretizzata con l'introduzione del solo lavoro da remoto, che ha consentito di gestire le emergenze e supportare il work-life balance delle persone, ma che non rappresenta un ripensamento del modello di organizzazione del lavoro. È il momento di riflettere su cosa sia il 'vero smartworking', che deve essere l'occasione per attuare un cambiamento più profondo, incentrato sul lavoro per obiettivi e una digitalizzazione intelligente delle attività".


"Nel complesso lo smartworking comporta una generale riduzione dei costi sia per i lavoratori sia per le aziende che lo adottano", spiega Fiorella Crespi, Direttrice dell'Osservatorio Smartworking (nella foto). "In questo momento di grave tensione su costi energetici e inflazione, questo risparmio potrebbe essere impiegato per fronteggiare la crisi e sostenere la redditività aziendale e il potere d'acquisto dei lavoratori. Le organizzazioni potrebbero valutare di restituire ai lavoratori una parte del risparmio ottenuto, ma nella nostra rilevazione oggi solo il 13% delle aziende del campione prevede per i lavoratori che lavorano da remoto dei bonus o rimborsi che non siano buoni pasto".
L'applicazione dello Smartworking permette anche di ottenere benefici a livello ambientale riducendo le emissioni di CO2 di circa 450 Kg annui per persona. Questo è il risultato di tre componenti su base annua: la riduzione degli spostamenti, che permette il risparmio di 350 Kg di CO2, le emissioni risparmiate nelle sedi delle organizzazioni che hanno introdotto lo smartworking (pari a circa 400 Kg di CO2) al netto delle emissioni addizionali dovute al lavoro dalla propria abitazione (in media circa 300 Kg di CO2).


Considerando il numero degli smartworker attuali pari a 3.570.000 di lavoratori, l'impatto a livello di sistema Paese calcolate sarebbe pari a 1.500.000 Ton annue di CO2. Tale quantità è pari a quella assorbita da una superficie boschiva di estensione pari a circa 8 volte quella del comune di Milano

L'esperienza forzata del lavoro lontano dall'ufficio e la volontà di favorire il rientro, anche se parziale, delle persone nelle sedi ha accresciuto nelle organizzazioni la consapevolezza di dover realizzare azioni sugli spazi di lavoro per creare ambienti che motivino e diano un senso al lavoro in ufficio, supportando in modo efficace le attività che più si prestano a essere svolte in questo contesto. Il 52% delle grandi imprese, il 30% delle PMI e il 25% della PA ha già effettuato degli interventi di modifica degli ambienti o lo sta facendo in questi mesi. In prospettiva futura queste iniziative sono previste o in fase di valutazione nel 26% delle grandi imprese, nel 21% delle PA e nel 14% delle PMI.
Il ripensamento degli spazi che sappia tener conto del diverso modo di lavorare delle persone rispetto al pre-pandemia è fondamentale per favorire il rientro in ufficio che, nel 68% delle grandi imprese e nel 45% delle PA, ha incontrato resistenze da parte delle persone.


L'evoluzione futura dei modelli di Smartworking prevede sostanzialmente lo stesso numero di giorni da remoto di quelli attuali. Ma si prevedono nuovi modelli di workplace con "spazi identitari" e finalizzati a favorire la collaborazione e l'interazione con colleghi e stakeholder prima ancora che il lavoro individuale, oltre che da una maggiore diffusione e capillarità di sedi sul territorio anche con l'utilizzo di ambienti terzi come business center e spazi di coworking

In base alla modalità di lavoro adottata, è possibile identificare tre profili di lavoratori: on-site worker, che lavorano stabilmente presso la sede di lavoro, lavoratori remote non smart, che hanno la possibilità di lavorare da remoto ma non altre forme di flessibilità, e smartworker, che hanno flessibilità sia di luogo sia oraria e lavorano secondo una logica orientata agli obiettivi. Analizzando il benessere dei lavoratori sia dal punto di vista psicologico che relazionale, gli smartworker hanno migliori risultati sia rispetto agli on-site worker sia ai lavoratori remote non smart.


Questi ultimi mostrano livelli di benessere più bassi non solo rispetto agli smartworker, ma su molte dimensioni anche rispetto ai lavoratori on-site che non hanno la possibilità di lavorare da remoto.
La sola possibilità di lavorare da remoto, se non accompagnata da un'opportuna revisione del modello organizzativo, non dà benefici ai lavoratori in termini di benessere ed engagement. I lavoratori che manifestano i livelli più elevati di benessere sono infatti gli smartworker, tra i quali il 13% risulta pienamente ingaggiato, mentre i lavoratori remote non smart privi di flessibilità ulteriori oltre a quelle di luogo di lavoro, risultano avere minore benessere e un livello di engagement molto basso (6%), inferiore non solo ai veri smartworker, ma anche ai lavoratori on-site (12%). Il solo lavoro da remoto, cioè, se non inserito in una cornice più ampia di flessibilità e revisione dei processi, non porta benefici né a livello personale né organizzativo, ma può invece condurre a esiti più negativi persino rispetto a chi non ha alcuna forma di flessibilità come i lavoratori on-site.
Chi ha applicato lo Smartworking in modo emergenziale durante la pandemia deve essere consapevole che, se tornare indietro a un modello tradizionale di lavoro on-site può risultare difficile o impopolare, fermarsi a una applicazione superficiale, senza un'evoluzione coerente del modello organizzativo e manageriale che preveda una crescita di autonomia nella gestione degli orari e nel lavoro per obiettivi, rischia di non far ottenere benefici di miglioramento di produttività e benessere, e addirittura peggiorare la situazione rispetto a una condizione tradizionale di lavoro on-site.


 


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