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08/06/2022

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Marzio Morgante (ATA): sono molte le opportunità in Asia per gli imprenditori italiani

In questo momento di generale incertezza, nel settore produttivo premia sicuramente la flessibilità. In quello retail i lockdown in Cina si fanno sentire, ma vanno bene mercati come Giappone e Corea, con Singapore che si propone come hub

Da qualche tempo l'Asia sta vivendo un momento particolare, tra la situazione della pandemia in Cina, difficoltà della supply chain, e Paesi molto promettenti, che stanno avendo importanti risultati economici, come Vietnam, Singapore e Indonesia. Questo scenario offre molte opportunità agli imprenditori italiani. Ne abbiamo parlato con Marzio Morgante, Managing Partner di Asian Tax Advisory (ATA).

L'area asiatica è decisamente composita e in fermento. Quali sono al momento gli scenari?


La chiusura della Cina a causa della scelta di perseguire politiche zero-Covid ha creato notevoli cambiamenti nell'area asiatica, ma non solo. In Cina, la città forse più colpita al momento è Shanghai, che ha perso più della metà della comunità straniera, in particolare europea. Ciò ha creato uno spostamento di espatriati verso Hong Kong e, in misura maggiore, verso Singapore. Quest'ultima grazie al recente, progressivo abbandono delle restrizioni anti-Covid e apertura dei confini, è diventata la metà privilegiata di tutti gli espatriati della regione e non solo, in fuga dalle pesanti restrizioni Covid in Cina e Hong Kong.

Ciò è comprovato da un forte aumento delle richieste dei visti di lavoro e residenza a Singapore, e all'aumento degli affitti per gli immobili residenziali, che registrano aumenti tra il 30 e il 50%.
Le politiche cinesi di zero-Covid hanno avuto poi pesanti ripercussioni economiche, in particolare su tutta la filiera del supply chain, che aveva nel porto di Shanghai uno snodo principale. Si stima che ci vorranno mesi per tornare alla normalità, sempre con la speranza che non si verifichino nuovi lockdown in Cina che riporterebbero la situazione al punto di partenza.
Il settore della logistica era già sotto notevole stress nel 2021, che ha visto il costo dei noli per il trasporto marittimo di container aumentati di 6-7 volte rispetto al periodo precedente la pandemia. All'inizio del 2022 si cominciava a notare una lieve discesa dei costi, i quali tuttavia hanno ripreso a risalire a causa della guerra in Ucraina.
Tutto ciò sta portando molte aziende a riconsiderare tutta la loro supply chain, con l'obiettivo di diversificare le aree geografiche di produzione, che sino ad ora vedevano spesso la Cina come unico Paese produttore.

Ciò sta premiando in Asia Paesi come il Vietnam e l'Indonesia, e, più vicino all'Italia, i Paesi dell'est Europa, la Turchia e i Paesi limitrofi. La localizzazione della produzione dipende molto dalla tipologia merceologica, ma è ormai chiaro che quei prodotti a basso valore aggiunto e con dei volumi e pesi notevoli, difficilmente continueranno ad essere importati dalla Cina.
Dal punto di vista d'immagine internazionale, le politiche Covid hanno avuto un impatto negativo sulla Cina. In particolare, la crescita economica cinese, iniziata con le riforme economiche di apertura varate da Deng Xiaoping nel 1978, sta rallentando notevolmente. Alcune stime danno una crescita del PIL 2022 cinese di appena il 2%, e dunque inferiore al 2.8% previsto per gli USA. Se ciò si verificasse, sarebbe la prima volta dal 1976 che il PIL cinese cresce meno del PIL USA: un segnale che potrebbe avere ripercussioni sulle prossime rielezioni di Xi Jinping per il suo terzo mandato quinquennale, previste per il prossimo novembre.

Quali sono, dal vostro punto di vista privilegiato, le aree più promettenti/attraenti per un'impresa italiana in cui è profittevole investire? E perché?


Per rispondere a questa domanda bisogna innanzitutto distinguere tra gli investimenti nel settore produttivo e nel settore distributivo, con particolare riferimento al retail.


In questo momento di generale incertezza, nel settore produttivo premia sicuramente la flessibilità. La possibilità di spostare velocemente la produzione da un Paese all'altro, a causa delle restrizioni Covid, noli, e costo materie prime, garantisce una maggiore certezza di continuità della produzione e possibilità di controllare i costi di fornitura. Tale risultato può essere raggiunto solo tramite la produzione conto terzi, che può essere svolta efficacemente solo con il supporto di un team di controllo di qualità all'altezza.
Nel settore retail, la situazione è anche qui in costante cambiamento in Asia. Le politiche di restrizioni Covid hanno avuto pesanti ripercussioni in Cina, con un calo delle vendite al dettaglio in Cina del 11.1% ad aprile 2022 rispetto allo stesso periodo del 2021. Meglio la situazione negli altri mercati principali dell'Asia come Giappone e in particolare Corea. Le aziende in questo periodo stanno alla finestra, ma alcune hanno iniziato a puntare sull'hub di Singapore, ritornato ormai ad una mobilità normale, garantendo così la copertura dei mercati asiatici (esclusa la Cina, che rimane ancora isolata).




Quali sono le tipologie di investimento che fino ad ora hanno fatto le nostre aziende?


Nel passato gli investimenti in Asia si caratterizzavano principalmente nel settore produttivo. L'abbondanza di manodopera e i bassi costi di produzione, hanno attirato moltissime aziende occidentali in Asia e in particolare in Cina. Il conseguente miglioramento della situazione economica ha portato ad un forte aumento della domanda interna di tali mercati, in particolare nel settore del lusso, in cui l'Italia è particolarmente forte. Tra vendite dirette in Asia e indirette, l'Asia pesa oltre la metà dei ricavi in molti bilanci di società italiane della moda. Ciò ha portato a dei forti investimenti in Asia e in particolare in Cina, con una corsa all'apertura di moltissimi punti vendita nei principali centri commerciali del continente.
Ultimamente abbiamo notato che le restrizioni Covid hanno dato forte impulso alle vendite online, con conseguente rallentamento dell'interesse per i canali di vendita tradizionali.

Guardando ai diversi settori, le nostre imprese sono storicamente più vocate all'export rispetto all'investimento in sedi produttive.


Per quali comparti può esser conveniente intraprendere produzioni in Asia? E in quali Paesi?

I prodotti italiani sono apprezzati in tutto il mondo per la loro qualità e originalità nel design. In tutto questo sicuramente il Made in Italy gioca un ruolo molto importante, soprattutto nei prodotti di fascia alta. Per tale fascia di mercato non è sicuramente pensabile spostare la produzione al di fuori dell'Italia. I consumatori asiatici sono ben disposti a riconoscere un premium price per tali prodotti, a condizione che sia mantenuto il Made in Italy, non solo a garanzia della qualità, ma in quanto rappresenta ormai un vero e proprio status symbol, un richiamo al Bel Paese e all'ostentazione del suo stile di vita.
Diverso è il discorso per tutti quei prodotti di fascia più bassa, che si rifanno all'Italia in termini di design, marchio e controllo di qualità, ma con la produzione svolta al di fuori dell'Italia. Per questi sicuramente la produzione in Asia è una realtà già da diversi anni. I settori sono i più diversi, con alcuni esempi come il settore calzaturiero in Cina e Vietnam, l'occhialeria in Cina, il tessile in Bangladesh e l'arredamento in Vietnam e Indonesia.



In generale la parte del leone in Asia nel settore della produzione la gioca la Cina, che è il Paese con una manodopera più numerosa a costi relativamente contenuti e un buon livello di infrastrutture logistiche. Chiaramente contano le incertezze legate alle politiche Covid già discusse. Paesi come Vietnam, Indonesia e Bangladesh, a fronte di costi di produzione più contenuti, offrono una minore qualità della forza lavoro e una carenza infrastrutturale che complica notevolmente i trasporti, in particolare via terra. Ciò comporta che in tali Paesi vengano localizzate quelle produzioni a più basso valore aggiunto, che non risentono delle difficoltà legate al trasporto.

La Cina sta vivendo un momento particolare. Non è più la "fabbrica del mondo" e questo ha influito su molte produzioni. Cosa comporta questo per le imprese italiane che pensano a insediamenti nel Paese?


La Cina è e resterà un punto di riferimento nella produzione mondiale. Attualmente nessun altro Paese offre una così alta capacità produttiva a costi relativamente contenuti, con un buon livello infrastrutturale. Basti pensare alla produzione di iPhone in Cina per Apple, che conta ben 350.


000 lavoratori in una fabbrica. E' altresì vero che le politiche restrittive Covid in Cina, hanno recentemente spinto proprio Apple a valutare uno spostamento dell'assemblaggio dei suoi prodotti, che attualmente avviene per il 90% in Cina, in altri Paesi come Vietnam e India.
Le aziende italiane che valutano un insediamento produttivo in Cina devono valutare bene le difficoltà legate all'insediamento in loco, che ormai non sono più legate esclusivamente ad aspetti burocratici, ma anche alle politiche Covid che hanno un impatto sulla produzione, trasporto e, sempre di più, sulla difficoltà a trovare personale qualificato italiano disposto a trasferirsi o vivere in Cina. Infatti, chi segue la produzione deve necessariamente restare in loco, e questo può voler dire sopportare pesanti lockdown e l'impossibilità di lasciare dal Paese per lunghi periodi. Quest'ultimo aspetto è causato non dal fatto che è impossibile lasciare il Paese, ma dall'impossibilità poi, di fatto, di rientrare nel Paese del Dragone. Molti italiani in Cina (soprattutto a Shanghai) non ritornano in Italia da 3 anni, e attualmente hanno poche prospettive di tornarci nel breve periodo, a meno che non vi sia un allentamento delle restrizioni nei viaggi internazionali.


A ciò va aggiunta la difficoltà ad ottenere nuovi visti di lavoro in Cina, che complica ulteriormente le cose.
Nel 2020 si contavano 850,000 espatriati in tutta la Cina (per raffronto gli stranieri in Italia erano 5.756.000 nello stesso periodo), con quasi un quarto localizzato a Shanghai. A seguito delle politiche Covid questo numero è calato notevolmente, in particolare a Shanghai dove a seguito degli ultimi lockdown di quest'anno, la popolazione di espatriati è stata decimata decidendo di lasciare il Paese.

Che tipo di assistenza fornite e quali sono le richieste più frequenti?


ATA è stata fondata nel 2014 a Hong Kong e nel 2021 abbiamo aperto la nostra sede di Singapore. Lo Studio è composto da un team di professionisti italiani e locali con una lunga esperienza di assistenza in particolare alle imprese italiane. Offriamo servizi di assistenza fiscale, contabile, societaria e amministrativa alle aziende che operano già in Asia o desiderano stabilire in loco le proprie attività.
Solitamente le domande che riceviamo più di frequente sono di tipo consulenziale da parte di imprese italiane per la riorganizzazione delle proprie attività in Asia o per lo stabilimento delle proprie attività nell'area.


All'attività di consulenza è affiancata un'importante attività di supporto continuativo fiscale, contabile e di reportistica alle controllate asiatiche di gruppi societari italiani.


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