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09/03/2022

idee

Il benessere degli imprenditori e il lato oscuro della leadership

Giovanna Carucci (#Authenticleader): devono capire che la responsabilità e il carico non devono portarli da soli ma devono creare un contesto, un gruppo che guida l'azienda. E che sono umani e la performance va gestita da umani, non come macchine

In aereo quando, spiegano le procedure di emergenza, l'hostess dice sempre: "prima indossate la vostra maschera di ossigeno e poi aiutate gli altri". Quante volte abbiamo sentito questa frase e quante volte la dimentichiamo nell'essere imprenditori?
"Oxygen Mask First" è un libro, scritto qualche anno fa da Kevin N. Lawrence, che parte da questa metafora per spiegare una forte dicotomia della leadership e quindi anche dell'imprenditoria: un'esperienza immensa e arricchente ma che, dall'altro lato, consuma e richiede una costante dose di focus ed energia.
Gli imprenditori e i leader testano costantemente i propri limiti, fanno i conti con le proprie ombre, godono di vittorie, costruiscono relazioni e, in un modo o nell'altro, lasciano il mondo diverso da come lo hanno trovato. Un su e giù continuo, una eterna montagna russa.
Eterna perché fare impresa è un gioco senza pause, arbitri e cambi, l'obiettivo è restare il più a lungo possibile nel gioco, come spiega molto bene Simon Sinek nel suo famosissimo libro "Il gioco infinito".


Molto poco si parla del "lato oscuro della leadership", di quei momenti nei quali gli imprenditori si domandano se ce la faranno davvero a reggere alle forti pressioni e ad arrivare sani e salvi da qualche parte (ogni tanto anche solo a fine giornata). In questi attimi si inizia a dubitare delle proprie capacità, della propria forza e della stessa passione che li guida nel fare impresa. Tutto ciò è normale ma è un argomento tabù, che quasi fa vergognare.
Gli imprenditori hanno un carico di responsabilità immenso sulle loro spalle, mettono anima e corpo nelle loro aziende affinché queste possano portare ricchezza alle famiglie che ci lavorano. Non possono dimettersi quando le cose vanno male, sentono le persone che lavorano nell'azienda come una responsabilità personale. Hanno messo nell'azienda la propria reputazione e spesso i propri investimenti (oltre ai sogni) e in molti casi stanno portando avanti una realtà che esiste da generazioni e che deve durare per altre generazioni portando il proprio cognome, con un inevitabile e salda identificazione personale. Per queste persone spesso l'equilibrio tra vita personale e lavorativa è un miraggio, perché l'azienda diventa la vita.

Tutto questo rappresenta un enorme carico emotivo quotidiano che se non viene gestito bene porta inevitabilmente ad un burnout.
Se in questi ultimi anni, anche a causa della pandemia, si è iniziato a parlare di benessere emotivo in azienda ancora poco si parla del benessere emotivo dell'imprenditore. Questo è un aspetto culturale interessante da approfondire: davvero tutto questo carico è inevitabile ed è una dura contropartita del fare impresa? Oppure siamo ancora invischiati in un modello di leadership che prevede che chi è al comando è un incrocio tra un super eroe che non soffre e un moderno Gandhi che deve solo pensare al benessere dei suoi?
In molti casi la nostra tradizione imprenditoriale fatta di pane e dovere sicuramente non aiuta. Come mai si presta poca attenzione e umana compassione per questa categoria che rappresenta così tanto del nostro Paese, della sua crescita e della sua ricchezza?
Al di là del contesto culturale, sicuramente anche per gli imprenditori è importante aggiornare i propri modelli di riferimento per comprendere due aspetti essenziali:
- Che la responsabilità e il carico non devono portarli da soli ma devono creare un contesto, un gruppo che guida l'azienda.


L'uomo solo al comando come stereotipo è morto già da un po'.
- Che sono umani e la performance va gestita da umani e non come macchine. Spesso l'imprenditore pensa di non avere letteralmente tempo per prendersi la giusta cura di sé, come leader pensa che questi momenti non sono concessi perché ci sono tante, troppe responsabilità, troppe cose da fare, troppo business da creare. Questa è, come la chiama Lawrence, la sindrome del martirio della leadership che ha dimostrato di avere effetti devastanti sulla performance dell'azienda nel lungo periodo e sul reale ingaggio emotivo del team. Questo martirio della leadership spesso è il frame mentale che porta così tanti imprenditori in burnout (più o meno dichiarato).
Lo stato emotivo e l'equilibrio psico-fisico hanno un impatto diretto su:
- Capacità di vedere e sopportare le sfide;
- Propensione al rischio;
- Capacità di innovazione e di pensiero strategico;
- Delega consapevole;
- Affidabilità nelle decisioni;
- Ingaggio e motivazione del team;
- Capacità di costruire relazioni solide.


Culturalmente gli imprenditori tendono a voler tener duro, a sacrificarsi, a mettersi in secondo piano come esseri umani e questo è il più grande errore che possano fare.


Gli hanno insegnato si deve correre, crescere, migliorare sempre. Ma davvero sempre? Davvero questo è l'unico modo? Questa è una trappola mentale nella quale cadono quasi tutti. Quanta paura c'è in questa frenesia? Quanto c'è delle aspettative degli altri nel desiderio di crescere?
Avere dei momenti di dubbio, fatica e fragilità è normale, capitano a tutti gli imprenditori anche a quelli che sembrano sempre di successo. Si possono gestire ma mai cancellare, sono parte delle montagne russe emotive del gioco infinito del fare impresa.
Per gestirle è importante prendersi cura di sé, mettere la maschera d'ossigeno regolarmente e non solo quando si è vicini al collasso, perché può capitare di non accorgersi di essere sul ciglio del burrone.
Prendersi cura di sé come atto di responsabilità verso l'azienda e il team, il miglior investimento per la performance dell'azienda, perché è impossibile andare oltre l'ordinario e guidare le persone se non si è nel miglior stato. Così come diventa difficile costruire fiducia, quella fiducia così strettamente legata alla capacità del team di osare e di costruire il futuro.
Fare impresa è simile a una maratona: scattare, correre a perdifiato si può fare nei cento metri ma poi il fiato finisce e si rischia di non arrivare al traguardo.



Tutti gli imprenditori di successo si prendono grandissima cura del loro stato psico-emotivo e del loro corpo. I luoghi comuni sul massacrarsi sono vecchia scuola.
Abbiamo un solo corpo, non bisogna esaurirlo, a volte bastano anche solo 30 minuti al giorno per sé stessi.
Da ovunque arrivano sacrosante raccomandazioni ai leader di prendersi cura del benessere emotivo del team, ma il benessere dell'imprenditore è ancora fai da te. Fino a quando il leader stesso non si permette di fermarsi, non si concede di essere umanamente imperfetto, di esprimere quello che prova, di essere semplicemente umano e di dare priorità al suo benessere psico-emotivo, il cambiamento culturale vero non avverrà mai, perché quello che permettiamo a noi stessi è quello che permettiamo agli altri. E' essenziale darsi il permesso di mettere sé stessi al primo posto per essere realmente affidabili e di contributo per gli altri. Proteggere e nutrire sé stessi, permettersi di essere vulnerabili, fallibili, insicuri e spaventati ogni tanto, come esempio di umanità e di accettazione. Concedersi la possibilità di ammettere anche con gli altri di aver bisogno della maschera d'ossigeno, metterla per insegnare anche agli altri a farlo e per evitare di vivere un sottile burn-out silente e strisciante.




Giovanna Carucci, Business Generative Coach, CEO e Founder di #Authenticleader


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