Reskilling e Upskilling sono le nuove priorità tra i lavoratori italiani
Radice (BCG): moltissimi sono infatti pronti a sviluppare nuove competenze in risposta ai cambiamenti della tecnologia e della globalizzazione
Il mondo del lavoro cambia e i professionisti italiani vogliono adeguarsi, migliorando le proprie competenze o apprendendone di nuove per trovare possibilità di impiego. Il 50% degli italiani ritiene che le tecnologie impatteranno in modo evidente sulla loro professione, il 55% ritiene che il fattore principale di cambiamento sarà la globalizzazione. Per questa ragione, il 62% degli italiani compie già uno sforzo significativo in upskilling, dedicando almeno alcune settimane all'anno in attività di formazione. E addirittura il 70% si dice aperto ad un reskilling per riqualificare le proprie competenze in vista di nuove opportunità di impiego.
Lo rivela la ricerca "Decoding Global Trends in Upskilling and Reskilling". condotta da Boston Consulting Group (BCG) e l'agenzia di recruitment online The Network su un campione di 366mila intervistati della forza lavoro di 197 Paesi, che si è concentrato sugli effetti dei cambiamenti tecnologici e globalizzazione sulla formazione.
A livello mondiale, la forza lavoro è consapevole dei cambiamenti in corso: il 61% degli intervistati ritiene che i mega trend globali siano destinati a trasformare le singole professioni.
Nello specifico, il 49% ritiene che il maggiore fattore di cambiamento sarà determinato dall'avvento della robotica e dell'intelligenza artificiale, il 45% dalla globalizzazione e dalla diffusione dell'outsourcing. Una sfida che accomuna economie in via di sviluppo e avanzate, alla quale si reagisce cercando di potenziare i propri skills o differenziandoli per trovare nuove opportunità.
Nel mondo, infatti, il 65% degli intervistati dedica ogni anno un tempo significativo all'upskilling. Myanmar è il primo Paese per impegno nella formazione (con l'87% degli intervistati impegnati), seguito da Nigeria, Cina, Camerun, Benin, Iran. L'Italia, con il 62% di lavoratori che si dedicano all'upskilling, si colloca nella parte medio-alta della classifica. I canali preferiti per la formazione sono i programmi di autoapprendimento (usati dal 63% dei lavoratori) e il learning on the job (61%), mentre sono meno gettonati conferenze/seminari (36%), le istituzioni formative tradizionali (34%) o online (30%), le applicazioni mobile (24%) e i programmi governativi (7%):
Per quanto riguarda il reskilling, il 67% del campione globale è disponibile ad apprendere nuove competenze per trovare un lavoro diverso da quello attuale.
La predisposizione varia a seconda della regione, con l'America Latina in testa, mentre i Paesi più restii al cambiamento sono quelli nell'Europa centrale e orientale, come Polonia, Germania e Russia. L'Italia si pone leggermente al di sopra della media, con il 70% di lavoratori pronti all'upskilling.
Secondo Matteo Radice, Managing Director e Partner BCG, responsabile della Practice People, "Dallo studio emergono differenze significative a livello geografico relativamente al tempo che ogni lavoratore dedica alla formazione. Se in Cina circa l'80% del campione intervistato ha dichiarato di impegnare più di una settimana all'anno per lo sviluppo delle proprie competenze, in Germania si è fermi al 38%, in Francia al 42%. L'Italia si segnala come un esempio positivo, con il 60%. Sono dati su cui non solo le aziende, ma anche i governi devono soffermarsi, con la prospettiva di promuovere e sostenere l'apprendimento e la formazione delle risorse, soprattutto di fronte alle sfide che pone l'innovazione tecnologica al mondo del lavoro".
Il primo passo per l'upskilling e reskilling è un cambio di mentalità a livello individuale.