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30/01/2019

idee

No deal: chi ci perde di più tra UE e UK?

Solo adesso la Germania si rende conto che con la Brexit il suo export verso il Regno Unito è a rischio. E gli industriali vanno nel panico

Tra i maggiori pericoli per la crescita del 2019 tutti gli analisti hanno inserito la Brexit.
E' probabile che la cosa si protragga anche per gli anni successivi se non si troverà un accordo.
L'uscita del Regno Unito dall'Unione Europea sta rapidamente degenerando e si va a grandi passi verso una Hard Brexit con un No deal. Il che significa che senza accordi tra l'UE e UK sarebbero in vigore gli accordi del WTO. Molti commentatori europei evidenziano che Londra avrebbe molto da perdere, così come su questo tasto battono coloro che vorrebbero un altro referendum per votare remain. Ma se guardiamo le cose da un altro punto di vista, scopriamo una realtà dei numeri un po' diversa.
UK esporta verso l'UE solo il 9,1% del proprio Pil, circa 184,1 miliardi di euro, peraltro in costante diminuzione da oltre 20 anni. I dazi potrebbero rendere l'export meno competitivo, ma la sterlina può svalutarsi rispetto all'euro (è già in calo da tempo), compensando almeno in parte il problema.
Ma sempre guardando agli effetti sul Pil, la Brexit porterebbe enormi vantaggi alle PMI inglesi, con risparmi stimati in circa 32 miliardi di euro solo per gli adempimenti ai

org.uk/intelligence/britain-and-the-eu/100-most-expensive-eu-regulations/">100 regolamenti UE più costosi. Inoltre il Regno Unito è un contributore netto dell'Europa: la Brexit non farebbe uscire dalle casse circa 17 miliardi di euro.
Con risparmi di questo tenore, ci si ripaga ampiamente di eventuali dazi della UE, che non potrebbe imporne di diversi da quelli del WTO.
L'altra faccia della medaglia sono le importazioni. E qui la faccenda prende tutta un'altra piega, poiché i dazi verrebbero imposti su prodotti e servizi di provenienza UE. Una Brexit no deal è il terrore principalmente per la Germania. Le aziende tedesche hanno investimenti per un valore di 120 miliardi di euro nel Regno Unito, e il commercio bilaterale viene stimato a un valore di oltre 175 miliardi di euro all'anno. In pratica, l'export di Berlino in forte surplus vedrebbe un crollo decisamente destabilizzante per la crescita del Paese. Un allarme lanciato recentemente anche da Dieter Kempf, presidente della Federazione delle industrie tedesche (Bdi), quando apertamente ha dichiarato che la bocciatura dell'accordo votata dal Parlamento inglese "ha lasciato le imprese tedesche a guardare nel baratro".


Ecco il nocciolo del problema. E vale anche per la Francia, l'Olanda e, ovviamente, per l'Italia (anche se in misura minore).
Gli inglesi avrebbero i dazi su esportazioni verso la UE sempre più in calo e ormai in percentuale sul totale non pericolosa. Peraltro possono approvvigionarsi da altre fonti, visto che fanno parte del Commonwealth e controllano la loro moneta.
L'UE a trazione franco-tedesca avrebbe gli stessi dazi, ma con le esportazioni in crescita e con economie molto dipendenti dalle importazioni inglesi. E in più abbiamo l'euro, in teoria controllato solo dalla BCE. Acquisteremo meno prodotti Made in UK, ma sicuramente non ne venderemo di più a loro, anzi. Ed ecco perché la Germania da falco si è fatta colomba, specialmente in vista delle elezioni di maggio.
Ma gli inglesi sono inglesi, il motivo vero della Brexit è che non trovavano più "ragionevole" stare in una unione dove di fatto comandava la Germania, con i suoi Paesi satellite, e in subordine la Francia. E democraticamente hanno scelto la via della Brexit.
Ma a questo si è arrivati affidando le trattative al falco francese Barnier, uno che agiva perché l'uscita del Regno Unito fosse così complicata e onerosa da scoraggiare qualunque altro Paese a farlo, come insegnava Attali.


Pessima mossa, frutto del desiderio di vendetta politica.
L'Europa non può fare a meno del Regno Unito (e viceversa). Sarebbe bastato offrire a Londra un accordo come con Norvegia o Svizzera. Ma a Bruxelles hanno peccato di miopia acuta e delirio da lesa maestà.
Ne pagheranno le conseguenze.

Claudio C. Gandolfo


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