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Editoriale
Ci vuole più Europa (o forse no?)

La frase magica che viene evocata ad ogni problema italiano e non è "Ci vuole più Europa". I cittadini del Regno ne sono così fortemente convinti che hanno indetto un referendum che, anche se non raggiungesse la maggioranza di "Leave", dimostrerebbe come nel Paese ci sia comunque una fortissima componente anti-UE. E non è solo un discorso di meri flussi migratori, come sentito da troppi commentatori superficiali.
Le problematiche sono le stesse che si sentono (o dovrebbero discutere) anche da noi: una burocrazia di non eletti che mette norme e regole su qualsiasi cosa. Il più delle volte a sfavore del cittadino-lavoratore e a favore delle multinazionali (vedi il TTIP o il CETA). Naturalmente sempre in modo politally correct e, ovviamente al riparo dalla volontà popolare. Naturalmente per il nostro bene, ma non ci viene chiesta la nostra opinione.
Perchè è proprio questa che spaventa le elités dell'euroburocrazia: ogni volta che è stata indetta una consultazione su tematiche di carattere europeo, Bruxelles ha sempre riportato sconfitte con perdite, dalla Costituzione Europea fino all'euro.
Ecco perchè i vari Monti, Attali, Juncker ecc. hanno sempre parlato di mettere al riparo chi decide in Europa dal processo democratico. Emblematiche le parole proprio di Junker recentemente a Roma: "Chi ascolta l'opinione pubblica interna non può promuovere la costruzione di un sentimento comune europeo, può non sentire la necessità di mettere in comune gli sforzi. Abbiamo troppi europei part-time". Un modo elegante per affermare che l'opinione dei cittadini non conta nulla se chi governa decide per lui quale sia il suo bene. E che a Bruxelles e a Francoforte siede un gruppo di Marchesi del Grillo che ci ricorda ogni giorno chi sono loro e chi siamo noi.
Anche - ma soprattutto per questo - gli inglesi pensano che "ci vuole meno Europa".
E nel vecchio continente cominciano ad essere in tanti a pensarla in questo modo.

  



Claudio Gandolfo

In questo numero


 

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