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02/03/2016

idee

Sindacato e relazioni industriali: le differenze tra Francia e Italia

Morosini: mentre spesso gli imprenditori italiani si trovano totalmente "spiazzati" nel gestire i sindacati transalpini, a parti invertite il management francese trova la controparte molto collaborativa. Perchè da noi conta di più trovare intese e a partecipare ad elaborare soluzioni concrete ai problemi

Molti hanno ancora negli occhi le immagini del direttore risorse umane di Air France inseguito e letteralmente denudato dai sindacati lo scorso autunno.
E forse molti anche ricordano l'epocale sciopero del 2006, quando milioni di persone sono scese in piazza a Parigi per contestare il "contrat première embauche" che limitava la protezione in caso di licenziamento per i primi due anni di rapporto di lavoro con giovani di meno di 26 anni.
Come può, un sindacato con solo l'8% di sindacalizzazione (circa il 5% nel settore privato!), mobilitare milioni di persone?
Questo apparente paradosso in verità non è dimostrazione della forza del sindacato francese, bensì, si ritiene, della sua debolezza.
È vero che il governo francese aveva poi ritirato il disegno di legge sul CPE, ma è altrettanto vero che il sindacato non aveva il minimo controllo delle persone in piazza, né era stato in grado di porre fine alle manifestazioni, che avevano al contrario assunto la forma di una guerriglia urbana.
Questo è spiegabile con la natura e la storia del sindacato francese.

Un sindacato basato sul pluralismo conflittuale, il cui elemento unificatore è da sempre stato la dimensione ideologica. Un sindacato fatto non di membri, ma di militanti su base politico/ideologica.
Si considerino poi altre caratteristiche fondamentali e cioè:
- nonostante gli appelli ad una maggiore autonomia della contrattazione collettiva, lo stato continua a giocare un ruolo determinante nella definizione delle condizioni di lavoro;
- a seguito della riforma del 2008 la rappresentatività dei sindacati è valutata in base al solo dato elettorale;
- i meccanismi di "extension" e "élargissement" permettono di estendere l'efficacia dei contratti collettivi firmati da uno o più sindacati rappresentativi alla collettività dei lavoratori; quindi la copertura contrattuale è elevatissima (circa 90%) a prescindere dall'affiliazione sindacale.
I lavoratori beneficiano della rappresentanza sindacale in azienda e dei risultati della contrattazione collettiva a prescindere dall'affiliazione al sindacato e tipicamente l'iscrizione al sindacato non avviene in base ai servizi resi dai sindacati ai propri aderenti ma, al contrario, sulla base di un impegno di natura ideologica/politica.


D'altra parte se il tasso di affiliazione sindacale è così basso, la presenza del sindacato in azienda è estremamente elevata. Nel settore privato, quasi la metà delle unità produttive con più di 20 dipendenti dichiarano la presenza di "délégués syndicaux" o nello stabilimento stesso o nell'impresa di riferimento. In queste unità produttive è impiegato circa il 70% dei dipendenti del settore.
Tutti questi aspetti hanno un innegabile impatto sulle relazioni industriali e, per gli imprenditori italiani che hanno intrapreso un'attività anche in Francia, proprio sui rapporti con la controparte sindacale.
Nel corso di un'interessante confronto organizzato lo scorso novembre da GIDP sulla rappresentanza sindacale tedesca, francese ed italiana è infatti emerso come spesso gli imprenditori italiani si trovino totalmente spiazzati nel gestire i sindacati in Francia. Qualcuno si è trovato costretto a simulare un attacco di cuore per poter lasciare il sito produttivo con l'ambulanza; qualcuno ha abbandonato gli uffici passando dalla porta posteriore.
Forse non siamo preparati a gestire i rapporti con questi interlocutori.


Forse troppo spesso non si tengono in debito conto le rilevanti differenze storiche e culturali.
Perché? Cosa è diverso in Italia?
Effettivamente, avendo in varie occasioni collaborato con gruppi francesi presenti in Italia, assistendoli in ristrutturazioni sul territorio italiano, ho potuto raccogliere numerose testimonianze del management francese che si rallegrava di quanto collaborativo fosse il sindacato italiano. A noi può sembrare sorprendente e naturalmente le esperienze variano in relazione ai casi concreti, ma certamente, se confrontato con il sindacato francese, il sindacato italiano può risultare più disponibile a trovare intese e a partecipare ad elaborare soluzioni concrete ai problemi, soprattutto a livello aziendale.
Le nostre relazioni industriali si fondano su un principio costituzionale di libertà di associazionismo sindacale e ampia autonomia delle parti; un caso, si dice, di anomia. La contrattazione collettiva si basa su poche regole, talvolta piuttosto incerte, e su una tendenza al decentramento coordinato.
Sempre più spesso oggi si dice che il sistema sia in crisi. Certamente è in via di trasformazione.


E la trasformazione a questo punto è necessaria. Ad un sistema fortemente volontaristico, scarsamente formalizzato e ad elevata autonomia collettiva potrebbe subentrare, anche per via di successivi interventi legislativi, un sistema maggiormente normato.
A questo riguardo è di grande interesse l'iniziativa di un gruppo di giuslavoristi, di diversa generazione, formazione ed estrazione culturale, ma tutti di grande autorevolezza, che ha formulato al Governo una proposta di intervento legislativo - accompagnata da relazione illustrativa che qui si sintetizza - sui nodi più rilevanti e problematici del diritto sindacale italiano.
In particolare il gruppo converge sull'opportunità, nell'attuale momento storico, di un intervento legislativo che, a Costituzione invariata e partendo da quanto acquisito dall'autonomia collettiva in materia di regolamentazione della rappresentatività, sostanzialmente supporti, razionalizzando e stabilizzando, tali acquisizioni, rendendole compatibili con l'efficacia generalizzata che la legge produce.
Grazie alla forza della legge il proposto ddl consentirebbe di definire alcuni temi fondamentali del nostro sistema sindacale, temi anche di grande rilevanza pratica per i nostri imprenditori: l'efficacia erga omnes - generalizzata - del contratto collettivo aziendale e la possibilità di derogare alla legge per via di contratto aziendale.


Possibilità quest'ultima già prevista dal noto art. 8 della legge 148/2011, ma in concreto fortemente ostacolata dalle maggiori confederazioni sindacali.
Il ddl affronta, regola e generalizza la misurazione in termini quantitativi della rappresentatività sindacale secondo il criterio della media tra dato associativo e dato elettorale, influenzando direttamente aspetti di grande importanza nella vita delle imprese quali:
- la legittimazione alla trattativa negoziale nella contrattazione nazionale;
- la scelta della forma unica di rappresentanza in azienda (in alternativa RSA o RSU);
- l'individuazione delle associazioni sindacali nel cui ambito è possibile costituire RSA;
- l'individuazione del criterio maggioritario come condizione per l'efficacia generale dei contratti aziendali;
- l'individuazione delle associazioni sindacali legittimate alla stipulazione di accordi o contratti collettivi cui la legge demanda la regolamentazione contrattuale di alcune materie.
L'ultima parte del testo, per garantire la stabilità degli accordi raggiunti, punta a rendere legislativamente efficaci le clausole di esigibilità contenute negli accordi interconfederali, limitando il ricorso allo sciopero finalizzato ad eludere impegni contrattuali assunti.



Ci troviamo potenzialmente di fronte a un profondo e rilevante cambiamento nelle dinamiche delle relazioni industriali, che viene considerato l'ennesimo tassello nell'ambito del rinnovamento che - con il Jobs Act - sta rivoluzionando il mondo del lavoro.

Valeria Morosini, avvocato, Partner di Toffoletto De Luca Tamajo e Soci


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