Se il problema è Tik Tok e l'età degli utenti vuol dire che non abbiamo imparato niente
Il Garante della Privacy è intervenuto per imporre un'età minima. Ma è questo il problema?
La notizia tragica su tutti i media ha alzato il livello di attenzione rispetto a Tik Tok.
Tutto giusto.
Ma in realtà non si dovrebbe arrivare a questo punto.
Da sempre mi batto per l'età dei videogiochi, fin dai tempi in cui dirigevo PC Game Parade, perché se l'industria si è data un sistema per autoregolamentarsi, il PEGI che è quel numerino posto sulle confezioni, significa che c'è un età per affrontare certi giochi.
Vale per tutto: c'è un età per giocare, c'è un età per entrare in un social.

Tik Tok è un caso limite, ovviamente, ma da questo percorso di "attenzione" ai minori sono passati un po' tutti i social, non ultimo Youtube e anche in questo caso in modo piuttosto eclatante.
Eppure non si è imparata la lezione, e non mi riferisco a livello delle aziende, perché, nel bene o nel male cercano di fare il proprio lavoro, ma a livello di cultura e preparazione al digitale.
E sì, perché era comodo dare un Gameboy ai figli quando si usciva a cena con gli amici, in fondo era una sorta di baby sitter digitale molto pratico.
Ora è accaduto lo stesso con gli smartphone e i tablet.
Per ogni genitore il problema non è affrontare i figli o proibire l'uso di certe applicazioni, ma saper rispondere alla frase "ma i miei amici lo fanno/ce l'hanno".
Per poter argomentare "bisogna conoscere il nemico", come dico negli incontri nelle scuole, prima coi ragazzi e poi coi genitori, perché se non si sa a cosa si va incontro è difficile rispondere.