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27/04/2016

leisure

Il futuro del Paese passa dalla scuola

Midoro è provocatorio: non si dovrebbe cominciare ad insegnare se non si è "digital literate". E le imprese potrebbero aiutare la scuola molti modi a patto che esista una visione di che cosa debba essere la scuola: un servizio e una risorsa per lo sviluppo degli individui e non solo un capitale umano per il mondo del lavoro

"La scuola ai tempi del digitale" è un interessante scritto che Vittorio Midoro, Consulente e Ricercatore associato Istituto Tecnologie Didattiche, CNR, ha recentemente pubblicato per FrancoAngeli.
Il libro è nato nel contesto del progetto "Digit School", di cui Midoro è stato responsabile scientifico. L'obiettivo era raccogliere contributi di innovatori (ricercatori, docenti universitari, operatori) su due aspetti: la concezione di una scuola nuova per la costruzione di una società giusta e sostenibile per l'era digitale. Il problema che abbiamo di fronte, infatti, non è l'introduzione delle tecnologie digitali in questa scuola, ma la definizione di un'idea di scuola diversa, che soddisfi le esigenze di una società pervasa dalle tecnologie digitali. Poi la descrizione di alcune pratiche innovative nell'uso delle tecnologie digitali, che cambiano i modi di fare scuola. Ne abbiamo parlato con l'autore.

Che ruolo possono giocare le tecnologie digitali per migliorare la qualità dell'offerta formativa?

Qui non si tratta solo di migliorare la qualità dell'offerta formativa.

Siamo di fronte a una sfida molto più impegnativa che consiste nel cambiare la scuola dalle sue fondamenta oggi costituite da una concezione dell'apprendimento come trasmissione di un sapere codificato. La cultura scritta come supporto principale del sapere, in cui gli scritti sono visti come contenitori privilegiati della conoscenza e la valutazione come strumento di selezione.
Le tecnologie digitali possono fornire l'infrastruttura tecnologica di una scuola nuova il cui fine non è la selezione, ma l'ampliamento delle possibilità di scelta di modelli di vita da parte degli studenti. Questa scuola dovrebbe essere basata su una concezione dell'apprendimento come interazione con ambienti di apprendimento, che hanno una componente sociale, una biofisica e una individuale. Un esempio di questo tipo di apprendimento è quello della lingua madre che avviene interagendo all'interno della famiglia, o quello di un musicista all'interno della comunità dei musicisti. In questa concezione, apprendere vuol dire diventare qualcuno all'interno di una comunità e non solo imparare qualcosa.
Occorre una cultura digitale, che non escluda gli scritti ma li inglobi e li arricchisca negli oggetti digitali, che sono tutti quegli oggetti che usiamo normalmente quando ci serviamo del computer o del tablet.

Questi oggetti sono multimediali, aperti e interattivi.
Infine, una valutazione come strumento per aiutare i ragazzi a superare le difficoltà e, in ultima analisi, a sviluppare le proprie capacità.

Nel panorama europeo, come si colloca la nostra scuola per apertura ed utilizzo delle tecnologie digitali?

Il panorama europeo è molto composito. I Paesi che attuano politiche molto innovative riguardanti l'uso delle ICT nell'educazione sono i Paesi scandinavi, con in testa la Finlandia, ma anche la Danimarca, l'Olanda, il Regno Unito sono da sempre molto attente all'uso delle tecnologie digitali a scuola. Poi ci sono Paesi più tradizionali come Germania e la Francia, che si muovono con più circospezione sul terreno dell'innovazione, questi Paesi tuttavia possono contare su un efficace sistema scolastico. In Italia mi sembra che le politiche ministeriali riguardanti l'introduzione delle ICT abbiano dato scarsi risultati, anche se in alcune scuole esistono eccellenti esperienze. Oltre a una solida infrastruttura tecnologica (banda larga, accesso capillare alle tecnologie ecc.), manca un'idea di scuola per la società digitale, e in mancanza di questa visione non si può parlare di una vera riforma della scuola.




Quando la classe dei professori potrà dirsi nativa digitale?

Non amo la locuzione "nativo digitale", diventata uno stereotipo. Un trentenne nato quando c'erano gli M24 (ndr: tra i primi e più diffusi computer Olivetti negli anni '80) è un nativo digitale? E da quale tecnologia si comincia a considerare un individuo nativo digitale, dai mainframe, dai mini, dai PC, dagli smartphone, dai tablet, dagli ebook? Nel momento in cui le tecnologie digitali diventano pervasive e dominanti nel trattamento dell'informazione e della conoscenza, tutti devono adeguarsi per non essere esclusi, sia i vecchi, nati quando non c'erano i computer, che i giovani nati oggi. E' chiaro che chi è rimasto legato alla cultura scritta e rifiuta il mondo digitale si trova in difficoltà. I giovani, non condizionati da esperienze precedenti, considerano la cultura digitale come un dato di fatto. Del resto, tutti gli individui di una società digitale devono essere digital literate indipendentemente dalla loro professione. Chi non lo è si trova nella stessa condizione di un analfabeta nella società basata su una cultura scritta.


Il problema è che la prima formazione degli insegnanti nell'università è fortemente condizionata dalla cultura scritta e vede con sospetto il mondo digitale. Il risultato è quello di avere aspiranti insegnanti con una professionalità inadeguata per la scuola della società digitale. Ciononostante ci sono docenti in servizio che per conto loro hanno fatto esperienza di modi nuovi di fare scuola, usando le tecnologie digitali, insegnanti che chiamo "pionieri", in analogia con le piante che dissodano ambienti aridi, i quali per primi adottano innovazioni ed aprono la strada per i loro colleghi.

Non si corre il rischio di un paradosso: alunni nativi digitali che ne sanno di più dei professori? Che fare per colmare il gap?

Se gli insegnanti rifiutano di fare i conti con il mondo digitale si trovano in difficoltà con studenti nati in questo mondo. Ad esempio come faranno a capire se un compito è il risultato di un "copia incolla"? Dove cercheranno facilmente le informazioni per rispondere a domande mai incontrate? Vieteranno l'uso di computer, tablet, smartphone? Oggi essere digital literate è un obbligo per tutti gli insegnanti, come il sapere leggere e scrivere correttamente.


Non si dovrebbe cominciare ad insegnare se non si è "digital literate", e quelli che già insegnano dovrebbero diventare "digital literate" usando sistematicamente le tecnologie digitali nel loro lavoro e non solo in classe. Può certamente capitare che uno studente conosca un'applicazione che un insegnante non conosce, o che sappia usare meglio alcune funzionalità di applicazioni conosciute da entrambi, ma questa in futuro sarà la regola e non l'eccezione. Il docente non sarà più visto come l'esperto onnisciente, ma il facilitatore che sa aiutare i propri studenti nel loro sviluppo cognitivo, affettivo e motorio relativamente a un certo dominio di conoscenza, sviluppando quanto più possibile le loro capacità. Questo docente sarà felice di imparare dai propri studenti, se questi padroneggiano cose a lui sconosciute.

Come le imprese, decisamente attente e al passo con l'economia digitale, possono partecipare al processo di crescita della scuola italiana?

Di quali imprese stiamo parlando? Ci sono quelle che in qualche modo intersecano il mondo della scuola: l'editoria scolastica, le imprese che progettano, costruiscono o restaurano gli edifici scolastici, quelli che producono sussidi didattici, ecc.


Poi ci sono imprese che operano nel settore delle comunicazioni e dei sistemi informativi. Ci sono imprese che operano nelle frontiere dell'innovazione e quelle manifatturiere tradizionali. Insomma, il mondo imprenditoriale è composito e potrebbe aiutare la scuola in un'infinità di modi a patto che esista una visione di che cosa debba essere la scuola: un servizio e una risorsa per lo sviluppo degli individui e non solo un capitale umano per il mondo del lavoro. Le imprese hanno tutto il diritto di esprimere esigenze rispetto alle capacità richieste. La scuola ha il dovere di vagliarle e di considerare quelle che possono contribuire allo sviluppo dell'individuo. Ad esempio se l'impresa richiede individui competitivi, la scuola potrebbe valorizzare le capacità collaborative, senza penalizzare quelle competitive. Le due cose non sono in contraddizione, ma cambia il punto di vista e questo determina la relazione scuola-impresa. Le imprese che intersecano la scuola dovrebbero comprendere quali sono le nuove basi di una scuola dell'era digitale. Le imprese di telecomunicazione potrebbero facilitare l'accesso alle tecnologie da parte delle scuole, con politiche di prezzi favorevoli.


Le imprese innovative potrebbero offrire spazi di formazione per gli studenti interessati all'innovazione. A questo proposito è interessante l'iniziativa del MIUR sull'Istruzione Tecnica Superiore, che può giovarsi dell'alternanza scuola lavoro nell'ambito curriculare. Qui le imprese interessate potrebbero offrire stage aziendali per consentire agli studenti di fare pratica all'interno di una comunità di pratica reale.

Vittorio Midoro, opera nel settore delle tecnologie didattiche dal 1974; fino al 2008 come dirigente di ricerca presso l'Istituto Tecnologie Didattiche, CNR, e poi, come associato nello stesso istituto e come consulente, a livello nazionale e internazionale, sulle tematiche dell'innovazione dei sistemi educativi e formativi.

Titolo: La scuola ai tempi del digitale. Istruzioni per costruire una scuola nuova
Autore: Vittorio Midoro
Editore: Franco Angeli
Pagine: 218

@federicounnia - Consulente in comunicazione


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