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02/11/2022

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Il Ministero dell'innovazione

Se ne parla molto della cancellazione, ma forse è bene guardare in faccia la realtà

Dobbiamo dircelo chiaramente: l'innovazione non è di interesse per i politici.
A scorrere i programmi elettorali delle ultime elezioni dei vari partiti, di innovazione ci si riempie la bocca ma concretamente c'era ben poco.
Nella storia repubblicana, giova ricordare che il Ministero per l'innovazione è stato presente in solo quattro governi, rispettivamente con Lucio Stanca in due governi Berlusconi, Paola Pisano nel governo Conte II, ma non presente nel Conte I, e infine Vittorio Colao nel governo Draghi.
L'operato di questi ministri non è mai stato accolto favorevolmente da larga parte della politica, intenta quasi a snobbare o intralciare l'operato di tante strutture create da questi ministeri.
Di passi in avanti ce ne sono stati, ma bisogna capire se serve un ministero oppure no.
La mia opinione è che serve nel momento in cui il digitale diventa strategico per la crescita del Paese.
Non serve nel momento in cui il digitale è pervasivo e l'innovazione ha raggiunto un certo grado di maturazione e naturalezza nell'essere portata avanti.


L'innovazione è un percorso, non è un momento, e vanno seguite diverse strade, spesso piene di insidie.
Ma se innovazione diventa sinonimo di cambiamento, per il nostro Paese generalmente si tratta di un problema: "mai lasciare il certo per l'incerto".
Detto questo, non in tutti i Paesi europei è presente un ministro delegato all'innovazione: anche su questo bisognerebbe interrogarsi, perché nella Commissione Europea siede Marija Gabriel con l'incarico di Commissario europeo per l'innovazione, la ricerca, la cultura, l'istruzione e la gioventù.
Si comprende che sembra un fattore legato alle nuove generazioni, di scarso interesse per i politici nostrani.
Insomma, c'è molto da fare, ripeto che è un percorso e come spesso capita, si sbaglia strada e si torna indietro.

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