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31/03/2021

idee

Gender gap: per uscire dalla crisi è essenziale poter disporre di tutte le risorse umane del Paese

Sandro Trento (Fondazione Ergo): avere più donne nei vertici potrebbe contribuire a innestare un cambiamento culturale e assicurare una selezione più efficace dei futuri dirigenti

E' una questione molto importante per la crescita e lo sviluppo economico, sociale e civile dell'Italia: parliamo della parità di genere, e su questo è incentrato Quaderno di Approfondimento del Centro Studi della Fondazione Ergo.
Il tasso di occupazione complessivo in Italia è inferiore rispetto a quello dei nostri partner europei e di altri Paesi avanzati, ma il nostro tasso di occupazione femminile è il più basso in Europa, dopo la Grecia - il 50,1%, rispetto al 68% maschile - ovvero, una donna su due in età da lavoro non è parte del mondo del lavoro, nonostante i livelli di istruzione in media più elevati rispetto ai coetanei maschi. Un più alto tasso di occupazione potrebbe far crescere il prodotto italiano.
Da anni, si concorda sulla necessità di far aumentare la percentuale di popolazione (in età da lavoro) effettivamente attiva, ma il divario (gender gap) rispetto agli altri Paesi in termini di occupazione è legato in modo significativo alla minore quota di donne lavoratrici; sottoutilizzare il potenziale umano di una quota significativa della popolazione riduce le possibilità di sviluppo del nostro Paese, oltre a porre innanzitutto una questione di giustizia sociale e umana.


Oltre all'esclusione delle donne dal lavoro, vi è anche un serio problema di divario di genere nelle retribuzioni (o gender pay gap), presente in Italia particolarmente rilevante; lo dimostra il Global Gender Gap Report del 2020 predisposto dal World Economic Forum, che ci colloca al 125° posto su 153 paesi per l'eguale retribuzione e al 117° posto per le pari opportunità e la partecipazione economica delle donne. Il divario retributivo, quindi, diventa anche un disincentivo alla partecipazione al lavoro e agli investimenti in capitale umano da parte delle donne.
Come si spiega che in media le remunerazioni femminili sono inferiori a quelle degli uomini?
Tra le possibili cause, le apparenti maggiori difficoltà delle donne di accedere alle professioni più retribuite, piuttosto che ostacoli legati probabilmente ai meccanismi di selezione e di reclutamento in certi settori che, a parità di qualificazioni, tendono a favorire gli uomini.
Va anche osservato che troppe donne preferiscono gli studi umanistici, che di solito non assicurano possibilità di impiego e remunerazioni pari a quelle conseguibili con studi scientifici e tecnologici, negli ultimi anni stanno aumentando le iscrizioni femminili a facoltà come ingegneria, eppure nel 2019 si è laureata solo una donna ogni tre uomini (dati Alma Laurea).

In generale, comunque, le donne sono in media più istruite e con votazioni migliori rispetto ai coetanei maschi.
I percorsi di carriera femminili, inoltre, sembrano essere meno rapidi e continui, spesso in conseguenza del fatto che ricade sulle donne l'onere della cura dei figli e delle persone anziane, costringendole a prendere periodi di interruzione del lavoro e, di conseguenza, di carriera - penalizzandole, quindi, in termini retributivi e di posizione.
È anche vero che il divario di retribuzione si riscontra anche per le donne che non hanno figli o impegni di cura familiare e tra chi raggiunge le posizioni apicali: in tema di Gender Gap, le donne CEO, per esempio, guadagnano meno dei loro colleghi uomini. Complessivamente, le donne più di frequente lavorano nei servizi e in particolare in comparti del terziario a minore retribuzione media. Ma vi è in generale una sottorappresentazione delle donne nelle posizioni dirigenziali delle imprese e delle organizzazioni.
I meccanismi di selezione della dirigenza spesso premiano l'assiduità di presenza sul lavoro, la disponibilità e la reperibilità anche in orari al di fuori del normale orario di lavoro, la flessibilità e l'essere pronti a spostarsi da una sede di lavoro a un'altra - fattori che favoriscono gli uomini, senza contare quelli che marcatamente penalizzano le donne, come la cooptazione tra "old boys".

La letteratura sulla qualità del management in Italia, dopotutto, sembra sottolineare che le carriere manageriali siano talvolta legate alla fedeltà al superiore piuttosto che a sole considerazioni di merito, caratteristica spesso delle imprese familiari.
Il filone di ricerca recente sul diversity management sembra dimostrare che le performance aziendali potrebbero essere migliori a fronte di una maggiore diversità nella composizione del management e dei consigli di amministrazione, distinti al loro interno per varie ragioni: una di queste è costituita dalle rispettive strutture cognitive, ovvero i processi di ricerca ed elaborazione delle informazioni, per cui ognuno contribuisce in modo diverso agli obiettivi aziendali. Donne e uomini hanno esperienze, conoscenze e valori di riferimento diversi e questa eterogeneità può influenzare la performance delle organizzazioni.
In generale, avere una dirigenza e un'amministrazione con competenze diverse e diversificate, per istruzione, esperienza lavorativa, genere, etnia e cultura arricchisce l'impresa e le organizzazioni, oltre a comportare l'analisi di problemi, decisioni, strategie da più punti di vista, riducendo, così, il rischio di prendere decisioni fondate solo sulla routine o su una scarsa valutazione delle alternative.



In una fase come quella che stiamo vivendo in questo momento, connotata da continui cambiamenti legati alla tecnologia, ai mutamenti climatici, ai rischi globali, ai flussi migratori o all'invecchiamento della popolazione, è essenziale poter disporre di tutte le risorse umane del Paese. Insomma, valorizzare la diversità è anche un modo per favorire la crescita.
Non è un caso che il NextGeneration Plan dell'Unione Europea parli esplicitamente di maggiore parità di genere e chieda ai paesi europei di definire obiettivi chiari per ridurre le disparità nei prossimi anni.
Serve tutta l'intelligenza delle donne per poter ridisegnare i modelli di vita, i modelli organizzativi, per poter bloccare il cambiamento climatico, per gestire la transizione ecologica e le questioni legate alla sostenibilità.
L'introduzione delle "quote rosa" nelle nomine crea spesso disagi, ad alcuni sembra una misura che non sempre assicura la meritocrazia.
Ma analizzare i meccanismi di selezione dei vertici consente di rendersi conto che non sempre le posizioni di responsabilità sono assegnate su basi di pura valutazione del merito ma che anche i pregiudizi e la composizione di genere spesso interferiscono in chi effettua la selezione.


Avere più donne nei vertici potrebbe contribuire a innestare un cambiamento culturale e assicurare una selezione più efficace dei futuri dirigenti.
Quando in un gruppo vi sono poche donne, il genere diventa la caratteristica chiave che attrae l'attenzione di tutti gli altri, poiché costituisce l'elemento più ovvio che differenzia la donna dal resto del gruppo, facendola sentire, quindi, stereotipata, vedersi considerata come una rappresentante dell'intero genere femminile. Non viene trattata da pari, quindi, se non addirittura esclusa.
Le quote rosa forse possono non essere la soluzione migliore per aumentare la parità ma possono essere un primo passo per modificare i meccanismi di selezione della dirigenza e per raggiungere la cosiddetta massa critica che potrebbe produrre i benefici del diversity management.

Sandro Trento, Professore Ordinario di Economia, Università di Trento Direttore Generale, Fondazione Ergo e Coordinatore del Quaderno di Approfondimento

Il Quaderno di Approfondimento "Diversità di genere" è scaricabile qui: https://bit.ly/3toxN87
La sua presentazione ufficiale si terrà, inoltre, in occasione del webinar "Diversità di genere", giovedì 1 aprile alle 17.


30, a cui è possibile iscriversi da questo link: https://bit.ly/3tpFvip


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