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29/11/2017

leisure

Di che giornalismo avremo bisogno?

Le imprese si attrezzano per farsi editori, non nel senso tradizionale del termine, ma per presidiare l'arena mediatica e virtuale di ciò che si dice di sé

Esiste ancora la mitica ed affascinante professione del giornalista? Quell'individuo che, non curante del pericolo e spinto solo dalla missione di difendere ed informare la collettività, sfida sprezzante al costo del pericolo i gangli del potere e del malaffare?
Oppure ci troviamo in una nuova era nella quale, ripiegati mestamente i gonfaloni dei grandi principi, si impugnano più prosaicamente le effigie e gli stemmi di marca?
A queste domande vuole dare risposta un libro, edito a Franco Angeli e curato da Giorgio Triani, dal titolo "Giornalismo aumentato. Attualità e scenari di una professione in rivoluzione". Una raccolta di opinioni di autori diversi, alcuni giornalisti, tutti spinti dallo spirito di voler tratteggiare quali siano gli scenari futuri della professione.
Un percorso fatto di tabelle e dati, consigli utili per chi intenda ancora abbracciare questa professione (spunti forse dall'onda lunga dei fatti di Ostia o dalle improbabili indagini di Report e Piazza Pulita).
La domanda che sorge spontanea è un'altra, leggendo il testo: abbiamo ancora bisogno di giornalisti? Un giovane diplomato o laureato, innanzi a diverse opinioni professionali, perché dovrebbe imbarcarsi nella professione giornalistica?
Su questo punto se è vero che la rivoluzione digitale cambia le regole del gioco, ponendo di fatto tutti nella condizione di essere inviati di sé stessi e interessarsi dei temi che ci interessano, dall'latro potenzia e rende centrale il ruolo delle aziende stesse e dei professionisti che in esse o per esse operano.


Non a caso, quando sono effettive le "purghe staliniane" nel corpo redazionale di quotidiani e periodici, e truppe allo sbando di frastornati giornalisti escono dalla gabbia dorata e s'incamminano nel mondo dell'informazione: il primo approdo che cercano è il mondo delle imprese. Avviare collaborazioni, mettere a disposizione il saper scrivere, i contatti, il fascino della propria agenda di contatti.
Ecco cosa sta accadendo: le imprese, grandi o piccole che siano poco importa, si attrezzano per farsi editori, non nel senso tradizionale del termine, ma per presidiare l'arena mediatica e virtuale di ciò che si dice di sé.
Abbiamo davvero bisogno di una nuova generazione di giornalisti, meglio se abbiano vissuto anche la logica, il pensiero e l'orgoglio dell'impresa. Senza troppa rivendicazione di orgoglio, ma spinti da una semplice legge di sopravvivenza.
E i vecchi giornali? Carta e web, poco cambia. Appagano un doppio bisogno. Fisico, legato al contatto e profumo della carta; l'altro edonistico, di farsi riconoscere e vedersi.
Il web ha progressivamente disintermediato i media tradizionali e ridotto praticamente a zero il valore delle notizie.


Dunque del giornalismo come professione. Le news online si sprecano: sono commodities. Girano libere e, rimbalzando da un sito all'altro, da un blog a un aggregatore di notizie, sono ormai fuori controllo. Bufale e fake news: (sotto)prodotto dell'informazione al tempo dei social network. Della post-verità. È questa la prospettiva che ci attende?
In tutto questo il pensiero delle aziende oggi è, più o meno: "ogni secondo qualcuno dice cose false o scorrette sulla mia marca e la mia impresa. Devo saper ribattere non solo tempestivamente, ma cum grano salis".
Ecco, forse questo è un altro problema, che meriterebbe un altro libro.

Titolo: Giornalismo aumentato. Attualità e scenari di una professione in rivoluzione
Autore: Giorgio Triani
Editore: Franco Angeli
Pagine: 196
@federicounnia - Consulente in comunicazione

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