Smart Working: competitivita' e 37 miliardi di euro di risparmi possibili per le imprese
Corso (Politecnico Milano): Occorre ripensare le policy organizzative sulla flessibilità di orario e di luogo di lavoro, i comportamenti e gli stili di leadership, il layout fisico degli spazi e l\'utilizzo delle tecnologie digitali
Telelavoro, flessibilità oraria, riorganizzazione degli spazi e utilizzo di device digitali per la comunicazione e la collaborazione in azienda, mettendo in discussione i vincoli tradizionali alla ricerca di nuovi equilibri fondati su una maggiore libertà e responsabilizzazione dei lavoratori. L\'adozione di modelli di lavoro orientati allo Smart Working e l’impiego delle soluzioni ICT può far risparmiare 37 miliardi di euro alle imprese italiane, grazie all\'aumento della produttività e della qualità del lavoro e alla riduzione dei costi di gestione, migliorando nel contempo la soddisfazione e il coinvolgimento dei dipendenti. E\' quanto emerge dalla Ricerca dell\'Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano ( www.osservatori.net ).

Secondo la Ricerca - realizzata attraverso il coinvolgimento di circa 600 aziende operanti in Italia e 1.000 utenti business - con la diffusione di modelli di Smart Working le imprese italiane potrebbero ottenere un beneficio di almeno 27 miliardi di euro, grazie ad un incremento medio di produttività del 5,5%. Alla base di questa stima c’è il miglioramento del 3,5% della produttività ottenibile attraverso una diffusione del telelavoro in linea con quella dei Paesi avanzati, una riduzione dello 0,5% dei viaggi di lavoro inutili grazie a strumenti web/video conference e un aumento dell\'1,5% della produttività del lavoro in mobilità grazie a device mobili. Vantaggi economici a cui è possibile aggiungere un risparmio di costi diretti per le imprese di circa 10 miliardi di euro, grazie a una riorganizzazione degli spazi di lavoro accompagnata da policy di flessibilità di orario e luogo di lavoro e ad una riduzione delle spese delle trasferte con strumenti di web/video conference.
Inoltre, l\'introduzione del telelavoro e la conseguente riduzione degli spostamenti dei lavoratori possono produrre risparmi economici per i cittadini pari a circa 4 miliardi di euro (circa 550 euro per lavoratore all\'anno) e a una riduzione di emissioni di CO2 pari a circa 1,5 milioni di tonnellate l\'anno.
“I benefici potenziali dell\'adozione di modelli di Smart Working sono troppo importanti per potersi permettere di non sviluppare immediatamente un piano di interventi in grado di migliorare la competitività e la sostenibilità economica delle imprese”, afferma Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano. “I casi di successo dimostrano come nuovi approcci organizzativi possano contribuire a creare un ambiente di lavoro efficace per le imprese e al tempo stesso per i lavoratori e per la società nel complesso. Per adottare un modello di lavoro “smart”, l\'impresa deve ripensare in modo congiunto e coerente le policy organizzative sulla flessibilità di orario e di luogo di lavoro, i comportamenti e gli stili di leadership, il layout fisico degli spazi e l\'utilizzo delle tecnologie digitali, che supportano nuovi modi di lavorare, facilitano la comunicazione, la collaborazione e la creazione di relazioni professionali tra colleghi e con figure esterne all’organizzazione”.
Il ritardo dell\'Italia: PMI ancora poco “smart”
Nel confronto internazionale, l\'Italia appare in ritardo nell\'adozione di modelli orientati allo Smart Working. Ad esempio, riguardo al telelavoro si posiziona al 25° posto su 27 Nazioni europee nell\'ultima classifica UE (2005). Ed oggi, mentre sempre più Paesi progrediscono (in Norvegia la percentuale di aziende che permette il telelavoro è raddoppiata dal 2003 al 2007), sembra essere rimasta al palo, lontana dal colmare il gap: nel 2013 la percentuale dei telelavoratori per più di un quarto del loro tempo lavorativo è pari a solo il 6,1%. Ma sembra notarsi finalmente un primo cambio di tendenza: nell\'ultimo anno la percentuale di telelavoratori (almeno occasionali) è aumentata dell\'8%, passando dal 17% del 2012 al 25% nel 2013.
“Alla base del gap italiano rispetto agli altri Paesi europei nella diffusione del telelavoro, vi è una normativa pesante e restrittiva, una visione miope e rigida nelle relazioni industriali e una cultura del lavoro pesantemente gerarchica” afferma Corso. “Inoltre, nel percorso d\'innovazione organizzativa, l’Italia sembra frenata dalla grande presenza di imprese medio-piccole con modelli di lavoro ancora molto tradizionali”.
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