Parlano la stessa lingua, per così dire.
In questo momento, invece, le piattaforme OTT, a parte Disney+ - che ha una familiarità ereditaria con le operazioni commerciali (e un team italiano dedicato, oltre a una expertise specifica sul licencing) - sono ancora poco strutturate nel nostro Paese, e non particolarmente desiderose di creare collaborazioni fra titoli e brand.
La chiave principale per collaborare queste piattaforme, l'elemento che può destare maggiore interesse negli interlocutori OTT, ci pare comunque essere la capacità del brand di creare un valore aggiunto al titolo (o alla piattaforma) in termini di comunicazione.
"Se mi porti qualcosa che non ho, possiamo pensare di collaborare", sembrano dire.
Che si tratti di una forte strategia di comunicazione (e relativo investimento media), che leghi il brand al titolo; di una piattaforma di comunicazione proprietaria del brand, che possa amplificare in modo sensibile un lancio; di una modalità efficace, «drive to subscriptions» (nel caso dei SVOD); dei talent importanti, che possano aiutare a comunicare la serie.
E così via.
Molti altri sono i filtri applicati: un fit perfetto fra titolo e concept del brand o del prodotto, un'idea creativa forte, la rilevanza del brand...
Monetizzare sul placement o su un branded content, in sintesi, è l'ultimo dei loro pensieri.
C'è però chi ce l'ha fatta, in Italia e all'estero, quindi il nostro impegno è quello di studiare da vicino la struttura di questi progetti e le necessità di comunicazione delle piattaforme, per dare informazioni coerenti e realistiche ai clienti.
L'evoluzione dell'offerta e la frammentazione che ruolo giocano?
Nel 2008 bastavano 5 reti per raggiungere l'80% dell'audience, nel 2018 già ne servivano 30? È inevitabile che la frammentazione dell'offerta porti a un'attenzione sempre più focalizzata sul contenuto: vince chi offre contenuti sempre nuovi e sempre più attraenti per un pubblico che si sta abituando con velocità impressionante alla fruizione di video on demand, grazie anche alla crescita costante del numero di smart tv all'interno delle nostre case.
Se fino a pochi mesi fa Netflix o Prime venivano fruiti spesso da device mobili, e da un pubblico più giovane, adesso si torna a vedere il contenuto, soprattutto quello seriale, sulla tv (smart) di casa, che, grazie a una tecnologia facile e a una user experience accessibile e piacevole, attrae anche un pubblico adulto e poco avvezzo ai mezzi digitali.
Te ne accorgi quando vedi tua nonna guardare la sua serie preferita su Rai Play anziché su palinsesto lineare, solo perché "All'ora in cui la mandano in onda di solito avevo da fare".
In che modo i brand stanno considerando i contenuti e qual è la strategia?
I brand hanno da tempo iniziato a pensare a strategie di comunicazione sempre più complesse, utilizzando contenuti premium che fanno da starting point per campagne multipiattaforma, sfruttando tutti i mezzi possibili a loro disposizione per raggiungere una audience che si è evoluta velocemente e non assomiglia più a niente di già conosciuto.
Spesso in Omnicom parliamo di audience cross-generazionali, e di modalità inedite per raggiungerle e per parlare con loro tramite campagne che di tradizionale hanno molto poco.
L'attività principale in questo senso è una nuova forma di pianificazione, che possiamo chiamare «creative planning» e che prevede forti competenze sul contenuto e sull'intrattenimento in tutti i settori, unite alla conoscenza di dati e insight e alle certezze date dalla conoscenza del media classico.
In questo senso, anche il «vecchio» product placement, se pensato come punto di partenza e non come veicolo di mera visibilità, può diventare una leva importante per campagne che possano soddisfare KPI molto difficili da far crescere, come trust e familiarity.
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