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17/06/2020

economia

Pandemia e ruolo degli azionisti

Mortier (DPAM): vi è un'alta probabilità che una diluizione del primato degli azionisti aumenti la rilevanza dell'ESG nel panorama aziendale e degli investimenti

Le attività degli azionisti, come ogni altra attività odierna, sono state condizionate dalla pandemia del COVID-19: la stagione delle deleghe 2020 è stata caratterizzata da rallentamenti, rinvii e assemblee generali virtuali.
L'attivismo dell'azionariato è quindi diminuito uniformandosi sostanzialmente all'attività di voto. Tuttavia, è probabile che non appena inizieremo a riprenderci da questa crisi, anche l'attivismo torni a crescere.
Le conseguenze della situazione attuale sono considerevoli per le aziende, soprattutto quelle gravemente indebolite dal lockdown e che sono diventate relativamente economiche, generando appetibili opportunità di acquisizione.
Questo periodo storico senza precedenti ha portato ad interventi altrettanto senza precedenti da parte dei governi e delle banche centrali. È quindi logico pensare che la situazione attuale determini azioni straordinarie come la flessibilità sui principi fondamentali di corporate governance?
Sarà interessante osservare le reazioni degli azionisti a queste proposte. Mentre alcuni potrebbero essere d'accordo con l'idea di misure di protezione temporanee per difendere le società dalle acquisizioni, altri probabilmente si opporranno strenuamente a questi meccanismi, in quanto limitatori dei diritti degli azionisti, in particolare di quelli di minoranza.


Salvo eccezioni momentanee alle regole e ai principi chiave, l'engagement dovrebbe rimanere centrale.
In qualità di investitore responsabile e impegnato, infatti, il nostro ruolo ed onere principale si focalizza nel garantire e supportare uno sviluppo sostenibile delle società nei nostri portafogli. Di conseguenza, dovremmo concentrarci soprattutto sull'impegno (engagement) attivo. In primo luogo, ci permette di comprendere meglio le aziende che non stanno superando la scommessa interna di gestione delle crisi. Di conseguenza, possiamo entrare in contatto con le società di cui siamo investitori per garantire che si concentrino sufficientemente sulla salute e la sicurezza dei loro dipendenti.
In secondo luogo, un engagement attivo ci spinge a essere ricettivi nei confronti delle risposte delle aziende fornendoci il contesto necessario per comprenderle ed influenzando contemporaneamente la nostra visione a lungo termine in materia di investimenti.
Questi endorsement sembrano avere un impatto sul cosiddetto primato dell'azionista, cioè la visione secondo cui le società debbano cercare di massimizzare i profitti, all'interno dei limiti della legge, unicamente a beneficio degli azionisti.


La tendenza volta a ridurre il primato degli azionisti è già emersa prima dello scoppio dell'emergenza COVID-19. Sono state registrate infatti diverse iniziative che hanno richiesto di porre maggiore attenzione sugli altri stakeholder di una società.
Il Nuovo Paradigma è un esempio notevole di tali iniziative. Esso promuove la trasparenza e l'engagement al fine di garantire un trattamento equo di tutti gli stakeholder.
La teoria della governance degli stakeholder nasce dalle radici stesse della corporate governance evidenziando l'obbligo morale per una società di impegnarsi per un unico scopo. Infatti, essa sostiene la promozione dell'economia e le opportunità per la società più in generale. Lo scopo principale della società dovrebbe quindi essere focalizzato sulla generazione di valore aziendale a lungo termine.
La pandemia non ha fatto altro che rafforzare questa tendenza favorendo la diffusione di iniziative legate agli stakeholders e al loro ruolo di investitori responsabili, incaricati di intraprendere azioni volte a ridurre gli impatti negativi causati dal virus.
Passare dalla centralità degli azionisti a quella degli stakeholder potrebbe portare a dibattiti appassionati e decisioni impegnative.


Un esempio recente in questo senso è rappresentato dalla richiesta agli azionisti di un'azienda di offrire una percentuale dei propri dividendi a un fondo di solidarietà per i dipendenti colpiti dalla pandemia. La scelta del voto su questo argomento non è così netta come ci si aspetterebbe. Prima di tutto, potremmo considerare il sostegno (o la sua assenza) da parte degli altri stakeholder dell'azienda. Abbiamo visto riduzioni salariali di uno o due anni da parte di diversi leader e senior manager per sostenere le conseguenze di COVID-19.
In secondo luogo, il pagamento dei dividendi in questione era relativo al 2019, prima dello scoppio globale dell'epidemia. In terzo luogo, che dire degli strumenti finanziari come i fondi d'investimento e i fondi collettivi? Come possiamo valutare le intenzioni di voto di tutti i singoli azionisti di questi strumenti? Di fronte a una tale sfida, il primo obiettivo del fondo non dovrebbe essere quello di difendere i diritti dei propri azionisti? La situazione non è affatto semplice. Tuttavia, viene confermata la più ampia responsabilità delle aziende nei confronti della collettività.
Se riusciremo a discostarci con successo dal paradigma che mette gli azionisti in primo piano, le aziende dovranno dare sempre più priorità agli stakeholder.


In effetti, vi è un'alta probabilità che una diluizione del primato degli azionisti aumenti la rilevanza dell'ESG nel panorama aziendale e degli investimenti.
In conclusione, COVID-19 avrà potenziali implicazioni per la gestione e l'attivismo degli investitori. Ciò potrebbe mettere in discussione il paradigma della creazione di valore a lungo termine e della pressione a breve termine garantendo allo stesso tempo una crescita sostenibile. La "Tragedia dell'orizzonte" così come viene definita da Mark Carney, ex Governatore della Bank of England. L'integrazione dei criteri ESG attualmente in atto dovrebbe quindi innescare un circolo virtuoso che favorisca orizzonti temporali d'investimento più lunghi e migliori pratiche ESG.

Ophélie Mortier, Responsible Investment Strategist di DPAM


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