Con la chiusura dei negozi si spegne l'Italia
Continuano a distruggere i consumi interni, torchiando artigiani e commercianti. Ma non si lamentino se poi disoccupazione, povertà e disagio sociale presenteranno il conto. E intanto il Pil cala
Adesso viene il difficile. La produzione industriale è in calo, la disoccupazione ha ripreso a salire, il commercio al dettaglio non fa certo scintille (anzi), portandosi dietro con sé l'inflazione. Per fortuna resiste l'export, che riesce a diversificare i suoi mercati si sbocco vista la recessione della Germania.
In questo contesto mettiamo le varie crisi aziendali, ex ILVA, Alitalia e Whirlpool in testa, e in mancanza di conigli dal cilindro (ma chi li estrae?) potremmo trovare sotto l'albero di Natale oltre 20mila disoccupati in più, oltre che un depauperamento del sistema industriale di effetto quasi post bellico.

Se dovessimo azzardare previsioni per il 2020, al netto delle dinamiche politiche interne, l'Italia sconterà una crisi esogena (il mondo che rallenta) cui si aggiunge quella endogena (maggiore disoccupazione e crisi economica), in cui verrà stretta in una morsa poco piacevole.
Non potendo intervenire sulle cause internazionali, sarebbe auspicabile che chi sta al governo sia ben cosciente che - in qualche modo - occorra salvaguardare quello che dell'economia locale rimane. E non parliamo solo di industria.
Difficile immaginare un'economia che possa fare a meno dei consumi interni, la cosiddetta "spesa delle famiglie". Ad oggi, meno male, rappresenta ancora oltre il 60% del Pil. Ma questo dato non significa solo il volume di acquisti, non solo i grandi supermercati o centri commerciali, ma anche negozi e lavoro sul territorio.
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