Brexit: il mercato sottovaluta la possibilità del crash out
Piersimoni (Pictet AM): la sterlina si muove contro dollaro intorno al fair value. Ma la proroga tecnica concessa dall'Ue non basterà a ricomporre il dissidio interno al Parlamento britannico
Da inizio 2019 il focus della Brexit si è spostato dal processo di negoziazione tra UE e UK alle dinamiche interne della politica britannica.
L'accordo raggiunto tra il governo e l'UE non ha trovato finora un supporto parlamentare sufficiente a garantirne la ratifica.
Tanto da aver indotto il Consiglio europeo a concedere una proroga tecnica della scadenza fino al 12 aprile, affinché la questione possa essere ricomposta.
Nel frattempo, anche il rischio di scenari alternativi, secondo l'analisi di Pictet AM, diventa più rilevante.
Riteniamo infatti del tutto insufficiente un periodo di due settimane per sciogliere i nodi interni a un Parlamento diviso e incapace di funzionare correttamente a cui peraltro verrà riproposto un accordo, già rigettato due volte, senza che esso abbia subito modifiche né sostanziali né formali.

L'ipotesi della revoca dell'art.
50 da parte del parlamento inglese diventa uno scenario possibile in assenza dell'approvazione dell'accordo "sponsorizzato" dal primo ministro inglese.
Il rischio di crash-out, a sua volta, aumenta di probabilità nel caso l'impopolare revoca dell'art.
50 non trovi il supporto del parlamento.
Infine, lo scenario dell'estensione lunga resta sul tavolo ma gravida di complicazioni non ultima la necessità di un'approvazione all'unanimità da parte dei paesi membri dell'Unione Europea.
Sono peraltro molteplici gli scenari (sia in caso di approvazione dell'accordo che in caso contrario) che porterebbero alla necessità di indire elezioni generali.
I mercati si troveranno a quel punto nella necessità di valutare non solo le implicazioni della permanenza o dell'uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea ma anche la probabilità di un cambiamento di governo (dai conservatori ai laburisti) le cui implicazioni in materia politica economica e fiscale sarebbero sostanziali.
Il primo ministro Theresa May si trova a dover fronteggiare non solo l'opposizione laburista, che punta più alle elezioni generali per andare al governo che alla risoluzione dell'impasse legata a Brexit, ma anche le fazioni interne al proprio partito che difendono l'idea di una Brexit più dura di quella prevista dall'accordo negoziato con l'UE.
Se a questo si aggiunge la crescente mobilitazione da parte dei partiti che chiedono un nuovo referendum che rimetta in discussione l'intero processo di uscita dall'UE, tra cui il gruppo parlamentare scozzese a Westminster, è facile comprendere come si sia passati attraverso una serie di tentativi (falliti) di sfiduciare la Premier May fino ad arrivare alle sue spettacolari sconfitte sia nel "voto rilevante" di gennaio, in cui l'accordo da lei proposto è stato bocciato con 432 voti contrari, tra cui almeno 200 del suo stesso partito, sia in quello del 12 marzo, con un margine negativo di 149 voti.
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