Come vede le prospettive per il mercato?
Dobbiamo ricordare che veniamo da un periodo molto favorevole, e la nostra analisi suggerisce che i risultati futuri potrebbero essere molto più modesti di quanto non siano stati negli ultimi 10 anni. Se consideriamo il mercato del reddito fisso, in questa fase i titoli di Stato o i Treasury offrono un rendimento di base tendenzialmente molto simile al loro rendimento corrente.
Se si acquista un'obbligazione con un rendimento del 2,8%, si può ragionevolmente prevedere che il risultato complessivo su un periodo di 10 anni ammonterebbe a circa il 2,8%. Non c'è nulla di magico in questo, e specialmente nei periodi di tassi in aumento è molto difficile ottenere un risultato migliore di così. Nel caso delle azioni, dipende. Ma nell'ipotesi che il ciclo duri ancora qualche anno e che gli utili societari continuino a crescere, l'investimento in azioni può ancora produrre un rendimento reale positivo, anche se, a mio avviso, non paragonabile ai livelli dell'ultimo decennio.
Abbiamo a che fare, quindi, con due o tre temi fra loro collegati. Il rendimento sarà altrettanto elevato? No. Sarà positivo? Sì. Sarà accompagnato da una maggiore volatilità? Sì. L'investitore è in grado di gestire la maggiore volatilità? E questa è una questione comportamentale, non finanziaria.
Per esempio, chi riesce a tollerare un aumento della volatilità perché è convinto che otterrà un rendimento reale nel tempo - nell'arco di tre o cinque anni - dovrebbe rimanere investito in azioni. Ma ricordate che parliamo di un rendimento più basso e di una volatilità più elevata rispetto al passato.
La volatilità di mercato è sempre uno sviluppo negativo?
Tutti i mercati finanziari presentano un certo grado di volatilità. L'essenziale è determinare qual è il livello normale di volatilità. Una volatilità estremamente contenuta è forse altrettanto pericolosa di una estremamente elevata, perché induce gli investitori a cullarsi in un falso senso di sicurezza. E questo non è normale, perché con tutto ciò che accade nel mondo, con le singole imprese, con la politica, ci si aspetterebbe un certo livello di incertezza, il che è ciò che la volatilità tende a rappresentare.
Una volatilità eccessiva, d'altro canto, indica generalmente un enorme livello di incertezza: il rischio di una guerra oppure di una grave recessione.
L'equilibrio come al solito si trova tra i due estremi. Ma un certo livello di volatilità serve ad assicurare che il mercato segnali agli investitori di aver compreso i rischi presenti in ogni dato momento.
Il problema è che la volatilità rappresenta l'incertezza e, com'è noto, l'essere umano ha qualche difficoltà comportamentale a gestire l'incertezza. Sappiamo infatti che in presenza di volatilità, specialmente di volatilità al ribasso, le persone prendono pessime decisioni. Magari hanno dedicato molto tempo a elaborare un piano con il loro consulente finanziario, ma poi vanno nel panico e si danno alla fuga.
Tuttavia, nella maggior parte dei casi ciò che vediamo oggi è solo rumore, e non un cambiamento significativo della direzione economica; di conseguenza, non bisognerebbe reagire.
E l'inflazione?
Istintivamente, molti preferirebbero che non ci fosse inflazione, perché la considerano una cosa negativa, ma in realtà l'assenza di inflazione sarebbe piuttosto problematica per l'economia.
È vero che non c'è da augurarsi un'inflazione troppo elevata, ma questo è un altro di quegli scenari ideali, "né troppo caldo, né troppo freddo", in cui un livello moderato di inflazione è da considerarsi positivo. Immagina di voler comprare una casa o un'automobile. Se pensassi che i prezzi fossero in calo, effettueresti l'acquisto o aspetteresti? Aspetteresti. Ecco quindi che la previsione di una continua diminuzione dei prezzi pone un freno all'economia. Tutti rimangono in attesa che i prezzi scendano ulteriormente, e gli acquisti di beni e servizi tendono ad essere rinviati.
D'altra parte, anche l'aspettativa di un'inflazione fuori controllo è problematica, perché se i prezzi di beni e servizi sono destinati ad aumentare notevolmente forse bisogna iniziare a risparmiare di più per far fronte a questo rincaro.
Se invece il tasso d'inflazione si attesta su livelli contenuti, intorno al 2-3%, si ha la ragionevole certezza di poter acquistare casa sapendo che il suo valore aumenterà nel tempo a un tasso modesto, il che rende più fiduciosi nell'acquisto. Si tratta dunque di una questione spinosa.
Oggi si parla spesso degli obiettivi d'inflazione delle banche centrali. Un istituto potrebbe mirare a un'inflazione superiore al 2%. Credo che molti si domandino perché le autorità monetarie lo facciano, perché siano favorevoli a un aumento dei prezzi. Ma tutto sta nel modo in cui l'inflazione incide sul comportamento dei consumatori.
Le banche centrali tendono a perseguire un livello ottimale d'inflazione, tale da assicurare che l'economia cresca normalmente, che i salari aumentino leggermente, in modo che i consumatori abbiano un po' più di reddito da spendere domani, che il valore delle abitazioni aumenti, e tutto questo favorisce il giusto tipo di comportamento economico.
Un appiattimento della curva dei rendimenti è sempre uno sviluppo negativo e il precursore di una recessione?
Il grande dibattito è se l'aumento dei tassi d'interesse sia dannoso per l'economia. Dieci anni fa il mondo è stato investito da una gravissima crisi finanziaria.
Le banche centrali globali hanno intrapreso una politica monetaria senza precedenti e mantenuto i tassi d'interesse a livelli straordinariamente contenuti per un periodo molto lungo.
Adesso che le condizioni economiche stanno tornando alla normalità queste politiche vengono abbandonate, e la Federal Reserve ha cominciato ad aumentare i tassi d'interesse. Il secondo elemento è il cosiddetto appiattimento della curva dei rendimenti, che è purtroppo un termine oscuro ma molto importante per noi che seguiamo i mercati. Se i tassi d'interesse a breve termine salgono - diciamo sulle scadenze da uno a due anni - mentre i tassi a 10 anni rimangono ragionevolmente stabili, la differenza tra i due si riduce notevolmente fino a quasi annullarsi, provocando il cosiddetto appiattimento della curva dei rendimenti.
L'aumento dei tassi è temuto dagli investitori. Ma bisogna distinguere tra i due casi: se l'aumento è dovuto in realtà alla normalizzazione dei tassi dopo un periodo di crisi, questo dovrebbe renderci fiduciosi nel fatto che la crescita è diventata più sostenibile rispetto al passato. Altra cosa è innalzare i tassi per cercare realmente di porre un freno all'economia, che è ciò che tradizionalmente si intende quando si parla di tassi in aumento.
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